Si chiama Valeriana, è rimasta nascosta per secoli nella foresta del Messico meridionale ed è composta da piramidi, palazzi e piazze che presentano le tipiche caratteristiche che “ci si aspetterebbe di osservare se fosse visitata all’interno di un videogioco”: è l’antica citta Maya scovata dagli archeologi della Tulane University, i quali hanno effettuato la scoperta grazie a scansioni lidar e ne hanno dettagliato le peculiarità all’interno di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista Antiquity. Il sito avrebbe ospitato fino a 50.000 persone tra il 750 e l’850 d.C spiegano i ricercatori, i quali aggiungono che la città confermerebbe l’idea di un’antica popolazione fittamente distribuita nella regione rafforzando il mistero sul successivo declino dei Maya.
La civiltà Maya, fiorita in Mesoamerica – l’area che si estendeva dall’attuale Messico centrale fino al Belize, Guatemala, El Salvador e le parti occidentali di Honduras, Nicaragua e Costa Rica – tra il 2000 a.C. e il 1500 d.C., è celebre per le sue avanzate conoscenze astronomiche, la complessità architettonica e i monumentali centri urbani. Al centro di questa società c’era una struttura sociale, politica e religiosa complessa, che si rifletteva nelle grandi città-stato come Tikal e Calakmul, oltre che in un numero crescente di insediamenti minori scoperti negli ultimi anni. La tecnologia che ha reso possibile la scoperta dell’ultima antica città ritrovata, denominata Valeriana, è il cosiddetto lidar (Light Detection And Ranging), ovvero una tecnica di rilevamento remoto che, utilizzando laser trasportati da aerei, mappa il terreno penetrando la fitta vegetazione della giungla. I laser del lidar emettono impulsi di luce che, rimbalzando sulla superficie, creano un’immagine tridimensionale del paesaggio, svelando dettagli che sarebbero altrimenti invisibili. Si tratta di una tecnologia che è già stata utilizzata con successo per esplorare altri siti Maya, rivelando una rete di insediamenti e vie di comunicazione fino a pochi anni fa sconosciuti agli archeologi.
Nel caso di Valeriana, l’individuazione della città è frutto dell’analisi di vecchie scansioni realizzate per fini ecologici. Esaminando i dati, i ricercatori hanno trovato segni evidenti di una città Maya nel dettaglio delle mappature, caratterizzata da piramidi templari, complessi di palazzi e ampie piazze pubbliche, oltre che da un’imponente rete idrica con bacini e dighe. Il suo centro urbano, spiegano i ricercatori, è connesso da una strada rialzata che si sviluppa tra le colline, creando un collegamento processionale. La dolina a forma di croce inoltre, parte di un sistema di grotte, aggiunge un ulteriore elemento simbolico: la sua conformazione ricalca le rappresentazioni delle caverne nella cultura artistica mesoamericana, spesso considerate vie di accesso al mondo sotterraneo. «Quella è la rappresentazione canonica di una caverna nell’arte mesoamericana, che risale agli albori dell’arte mesoamericana. Non so davvero cos’altro farne. La descriverò, e poi non potrò azzardare un’interpretazione di cosa significhi o quando risalga. È super strana», ha commentato Auld-Thomas, lo studente di dottorato alla Tulane che ha individuato il sito nelle scansioni.
Infine, secondo l’antropologa dell’Università di Calgary Kathryn Reese-Taylor, le ricerche effettuate avvalorano l’ipotesi di un popolamento molto esteso della regione, simile alla dispersione urbana osservata nelle città nordamericane. Simon Martin, antropologo della University of Pennsylvania, aggiunge che le scoperte aumentano la complessità del quadro demografico e sollevano nuovi interrogativi sul declino dei Maya, concludendo che il fiorire e il crollo di questa civiltà, in un paesaggio ora riconosciuto come densamente popolato, restano tra i misteri più affascinanti e controversi dell’archeologia mesoamericana.
[di Roberto Demaio]