Dopo una rocambolesca stagione elettorale, caratterizzata da dibattiti, attentati e cambi di candidati, oggi 5 novembre i cittadini statunitensi saranno chiamati alle urne per scegliere il quarantasettesimo Presidente del Paese. I programmi dei principali contendenti, Kamala Harris e Donald Trump, differiscono su molti punti: dall’aborto ai diritti civili, dalle tasse alla spesa pubblica, dall’immigrazione alla sicurezza interna. Eppure, le elezioni statunitensi non si limitano a risolvere le sole questioni interne, ma influenzano anche la vita di molti cittadini nel mondo, tra cui la nostra, in quanto italiani ed europei. Quali sono i punti di contatto tra Harris e Trump in materia di politica estera? Quali quelli in cui si distinguono? Come potrebbero cambiare le politiche commerciali degli Stati Uniti? E i rapporti con la Cina? Queste e tante altre sono domande che ci toccano direttamente; esaminiamo dunque gli aspetti di questa elezione che potrebbero avere un impatto sull’Italia.
Politica commerciale e rapporto con la Cina
Uno dei maggiori punti di divergenza tra Harris e Trump sembra riguardare la politica commerciale. Il programma della candidata democratica menziona poco come Harris modificherebbe i rapporti di scambio con l’estero, ma dopo tutto non ci si aspetta particolari cambiamenti rispetto alla politica commerciale dell’amministrazione Biden. Dal dibattito con Trump e dalla stessa pagina web dedicata alla spiegazione del programma emergono però gli aspetti fondamentali della potenziale linea sul commercio di Harris per via negativa: l’ex procuratrice ha infatti criticato più volte le passate iniziative del tycoon volte ad aumentare dazi e tasse sui prodotti di importazione, elemento che suggerisce la sua intenzione di proseguire con la politica di scambio commerciale con gli alleati attraverso accordi multilaterali, come già fatto da Biden.
Trump, dal canto suo, sembra fare dello stravolgimento della politica commerciale uno dei suoi cavalli di battaglia. Al tema dedica un intero capitolo del breve vademecum che espone il programma repubblicano “Agenda 47”, in cui ribadisce, come già fatto più volte, la necessità di reintrodurre dazi sui prodotti di importazione che, a suo dire, contribuirebbero ad abbassare le spese degli statunitensi. L’intenzione sarebbe quella di imporre tariffe del 10% sulle importazioni da tutti i Paesi, incentivando, parallelamente, la produzione interna. Unica eccezione è la Cina, verso i cui prodotti Trump imporrebbe tariffe ben più elevate, arrivando a introdurre dazi del 60% sui vari beni di importazione.
Proprio sulla Cina, quando si parla di politiche commerciali, va posta un’importante nota a margine. Sul fronte degli scambi con Pechino, Trump ha sempre adottato una postura di forte contrasto al rivale asiatico, e il programma repubblicano per le prossime elezioni conferma, anzi acuisce, le politiche di ostilità verso la Cina. “I repubblicani”, si legge nel programma, “elimineranno gradualmente le importazioni di beni essenziali e impediranno alla Cina di acquistare beni immobili e industrie americane”. Particolarmente rigida, inoltre, la posizione verso l’importazione di veicoli elettrici, che un’eventuale amministrazione Trump intende bloccare. Anche Harris si schiererebbe in netta opposizione alla Cina, senza tuttavia avviare una aperta guerra commerciale con il Paese asiatico come sembra volere fare Trump. In generale, il programma di Harris sembra mirare a ostacolare il rivale commerciale in modo da “vincere la corsa del ventunesimo secolo al primato” economico, mantenendo comunque una linea più morbida (e a tratti vaga). Piuttosto che puntare su dazi elevati, Harris sembrerebbe preferire un aumento della produzione interna e un potenziamento degli accordi commerciali con altri Paesi, tra cui proprio Taiwan.
La guerra russo-ucraina e i rapporti con la NATO
Uno dei temi più importanti quando si parla di elezioni statunitensi è quello del futuro del conflitto russo-ucraino. Anche in questo frangente, Harris sembra intenzionata a proseguire sulla linea dell’amministrazione uscente di Biden, che sin dallo scoppio della guerra ha seguito il motto “l’Ucraina deve prevalere”. Secondo un’analisi del gruppo KPMG relativa alle possibili dinamiche commerciali derivanti dalle elezioni presidenziali USA, Harris dovrebbe mantenere la linea delle sanzioni contro la Russia, continuando la politica di sostegno diretto a Kiev. A tal proposito, risulta interessante notare come, nella maggior parte dei casi in cui la Russia viene citata nel programma democratico, il nome della Federazione emerga proprio in relazione a dinamiche commerciali ed economiche. Sul versante politico, invece, è difficile scindere il tema della guerra in Ucraina dalle questioni relative all’Alleanza Atlantica. Riguardo alla NATO, il programma democratico cita a più riprese la volontà degli Stati Uniti di mantenere il ruolo di “guida mondiale” auto-assegnatosi, anche “affrontando leader autoritari e dittatori all’estero e rafforzando la NATO”. Insomma, anche per Harris “l’Ucraina deve prevalere”.
Trump, di contro, parla poco della guerra nell’Europa dell’Est, tanto che nel programma le parole “Russia” e “Ucraina” non compaiono neanche una volta. Il documento si propone di promuovere una “politica estera centrata sugli interessi americani più essenziali”. Sullo scenario europeo, Agenda 47 si limita a dire che “i repubblicani rafforzeranno le alleanze garantendo che i nostri alleati rispettino i loro obblighi di investire nella nostra difesa comune e ripristinando la pace in Europa”, senza fornire ulteriori dettagli. Né dal programma, né dalle diverse apparizioni di Trump risulta chiaro come il tycoon intenda “ripristinare la pace in Europa”. Le sue numerose dichiarazioni e il suo orientamento più protezionista e rivolto agli Stati Uniti suggeriscono, tuttavia, che egli intenda premere sull’Europa affinché si assuma maggiori responsabilità nel conflitto. Anche le sue dichiarazioni relative al destino dell’Alleanza Atlantica e alla volontà di spingere gli Stati europei ad aumentare la spesa destinata alla NATO sembrano indicare una linea di “soluzione europea a problema europeo”.
Medio Oriente e rapporti con l’Iran
Sul versante mediorientale relativo al massacro in Palestina, i due candidati sembrano differire più nei toni che nelle intenzioni. Harris, ancora una volta, conferma la politica di Biden, caratterizzata dal pieno sostegno al “diritto di Israele a difendersi” e dal dichiarato tentativo di promuovere la soluzione dei due Stati e arrivare a un cessate il fuoco. Trump, invece, appare focalizzato principalmente sul supporto a Israele, e discute soprattutto su come sostenere lo Stato ebraico, menzionando di rado il cessate il fuoco o i diritti dei palestinesi. In ogni caso, vista la gestione del conflitto da parte dell’amministrazione Biden, non sembrano profilarsi cambiamenti significativi di politica, né in caso di una vittoria democratica, né con una vittoria repubblicana.
La questione si stratifica se, alle attuali aggressioni israeliane, si affianca la gestione degli equilibri regionali, ampliando la prospettiva e includendo nel discorso anche l’Iran. A tal riguardo, i democratici sembrano voler tenere i piedi in due scarpe, da un lato mostrando pieno sostegno a Israele, e dall’altro cercando, almeno a parole, di promuovere la de-escalation. I repubblicani, invece, appaiono ben più propensi ad aiutare lo Stato ebraico a contrastare la “minaccia” dell’Iran. Trump si è infatti sempre mostrato ostile nei confronti del rivale mediorientale e, negli ultimi mesi, ha approfittato del dibattito in corso per dimostrare la sua assoluta vicinanza alle scelte di Tel Aviv, arrivando a consigliare attacchi contro obiettivi sensibili iraniani, come basi petrolifere e raffinerie nucleari. Non è chiaro se tali dichiarazioni, in contrapposizione a quelle democratiche, servano a Trump solo per ampliare il proprio sostegno elettorale, ma è certo che Teheran è sempre stata invisa al candidato repubblicano, anche durante la sua presidenza.
[di Dario Lucisano]
Grazie per averci guidato in queste possibili differenze , in realtà io continuo a vedere un disegno unico per quanto riguarda l’Europa : asservimento economico già abbondantemente realizzatosi con l’amminsitrazione Biden attraverso la scissione degli accordi energetici ed economici dell’Europa con la Russia che ha messo in ginocchio gran parte delle imprese europee . Anche il favorire le imprese interne è stato effettuato con l’amministrazione Biden ma a scapito sempre delle imprese europee cui sono state fatte offerte molto favorevoli per trasferirsi in America quindi niente di nuovo sotto il sole, direi. Certo Trump è più pericoloso per l’Europa ma la strada è già segnata adesso serve solo un ulteriore giro di chiave per affondarla economicamente e far si che i grandi fondi americani decidano come usufruire del potere acquisito nelle imprese europee per il loro personale guadagno e per il guadagno americano.
Ormai è chiaro chi vincerà. L’ Europa non sarà certamente invasa dalla Russia ( teoria più ridicola che astrusa) e farebbe bene a guardarsi soprattutto dalla Cina, stringendo scambi con i Paesi Africani e con la sopracitata Russia in primis, poi cessando immediatamente, secondo lo spirito europeista di pace, qualsiasi fornitura di armi a Paesi terzi rafforzando invece gli scambi culturali con coloro che ripudiano la guerra come un mezzo della politica e ritornando alla sua funzione originaria di paciere internazionale
… entrambi penosi e statici in un mondo che cambia continuamente …