La coalizione del governo Scholz è crollata mercoledì quando i tre partiti di governo (il Partito socialdemocratico – SPD – del cancelliere Olaf Scholz, i Verdi del ministro dell’Economia Robert Habeck e i Liberali – FDP – del ministro delle Finanze Christian Lindner) non sono riusciti a trovare un accordo per finanziare il bilancio del 2025. Il cancelliere Scholz ha licenziato il ministro delle Finanze Lindner per divergenze su come affrontare la grave crisi economica che affligge la più grande economia europea, spianando la strada a elezioni anticipate e innescando così la più importante crisi politica nel panorama europeo. Dopo il licenziamento di Lindner, tutti i ministri dell’FDP hanno annunciato che lasceranno il governo di coalizione: «Gli altri ministri dell’FDP» oltre a Lindner, che è anche presidente del partito, «hanno annunciato che presenteranno le loro dimissioni al cancelliere e al capo dello Stato», ha dichiarato alla stampa Christian Dürr, presidente del gruppo parlamentare dell’FDP.
Scholz, dunque, si appresta ora a guidare un governo di minoranza con i suoi Socialdemocratici e i Verdi, il secondo partito più grande in Germania: i due partiti, infatti, pur essendo in disaccordo su diverse questioni, sono riusciti a trovare un accordo provvisorio generale sulla spesa pubblica. Il cancelliere dovrà fare affidamento su una maggioranza parlamentare raffazzonata per approvare le leggi e ha intenzione di indire un voto di fiducia parlamentare il 15 gennaio, portando a elezioni anticipate entro la fine di marzo. Nel frattempo, avrebbe chiesto a Friedrich Merz, capo dei conservatori dell’opposizione, molto avanti nei sondaggi, di sostenere l’approvazione del bilancio e l’aumento della spesa militare. Scholz ha dichiarato di aver licenziato Lindner per il suo comportamento ostruzionistico nell’approvazione del bilancio, provocando una crisi politica il giorno successivo all’elezione negli USA di Donald Trump. Vale a dire, in un periodo estremamente delicato per i Paesi europei, che dovranno affrontare in modo unitario il problema del sostegno all’Ucraina – mentre con ogni probabilità Trump lascerà sola l’Europa sospendendo gli aiuti a Kiev – e il futuro dell’Alleanza atlantica sotto la nuova amministrazione americana.
Uno dei maggiori attriti che ha portato alla dissoluzione della coalizione di governo riguarda il cosiddetto “freno al debito” e un ulteriore aumento degli aiuti all’Ucraina sostenuto dal cancelliere. Scholz avrebbe voluto aumentare il pacchetto di sostegno a Kiev di 3 miliardi di euro (3,22 miliardi di dollari) portandolo così a 15 miliardi, finanziandolo attraverso la sospensione del freno al debito, un limite di spesa sancito dalla Costituzione tedesca che lo Stato teutonico si è autoimposto senza un vero fondamento economico alla base, per poi cercare di infrangerlo ogniqualvolta le circostanze lo richiedano. Non sarebbe la prima volta, infatti, che la politica propone di non rispettare il vincolo trovando sempre però la ferma condanna della corte di Karlsruhe, la Corte costituzionale federale tedesca. Parlando dopo Scholz in conferenza stampa, dopo essere stato licenziato, Lindner ha spiegato che il cancelliere avrebbe voluto costringerlo a infrangere il limite di spesa per finanziare l’Ucraina, cosa che l’ex ministro delle Finanze si sarebbe rifiutato di accettare. «Olaf Scholz si rifiuta di riconoscere che il nostro Paese ha bisogno di un nuovo modello economico», ha detto Lindner ai giornalisti. Un’altra divergenza riguarda il fatto che i socialdemocratici di Scholz avrebbero voluto stanziare maggiori sussidi per ridurre i costi dell’energia, mentre i liberali sarebbero contrari a questo approccio. L’FDP avrebbe, al contrario, proposto tagli alla spesa pubblica, tasse più basse e meno regolamentazione come risposta al malessere, rallentando anche il passaggio della Germania a un’economia carbon-neutral.
La crisi politica tedesca arriva dopo più di un anno di grande difficoltà per l’economia teutonica e le avvisaglie di un crollo della cosiddetta “coalizione semaforo” erano presenti da tempo, con i partiti di governo che si sono dimostrati incapaci di trovare una soluzione alla recessione che a fine 2023 ha colpito quella che era considerata la locomotiva dell’economia europea. La crisi e la mancanza di competitività di Berlino sono state accelerate in particolare dall’interruzione delle forniture di gas russo a basso costo che ha comportato un aumento insostenibile dei prezzi dell’energia. Questo aspetto, insieme a una transizione energetica mal concepita, ha avuto effetti negativi soprattutto sul comparto automobilistico, portando al fallimento di importanti industrie tedesche e alla crisi di storici marchi automobilistici: proprio recentemente la Volkswagen ha annunciato di voler chiudere tre stabilimenti in Germania per la prima volta nei suoi 87 anni di storia.
È possibile considerare la Germania come il simbolo del declino politico e economico delle nazioni europee, scaturito soprattutto dal disaccoppiamento – voluto da Washington – tra Russia e Europa che, non a caso, ha avvantaggiato l’economia americana. La Germania, del resto, non è l’unica Nazione europea in sofferenza: anche l’industria francese sta subendo una preoccupante battuta d’arresto. Le turbolenze delle due maggiori economie europee in un momento particolarmente delicato per gli equilibri geopolitici internazionali potrebbe minare ulteriormente la già debole unità europea, impedendole di affrontare le molteplici sfide che provengono da un panorama geopolitico in rapido mutamento. Oltre al grave declino economico, Berlino dovrà ora affrontare il relativo terremoto politico e di consenso che conferma il fallimento delle politiche energetiche e eccessivamente “filo ucraine” e filoatlantiche intraprese dal governo Scholz, che hanno di fatto portato alla sua implosione.
[di Giorgia Audiello]
Altro che ad elezioni andrebbero tutti mandati a Norimberga e poi fucilati, ma visti i tempi accontentiamoci di bersagliarli di bombe carta piene di 💩