Un recente rapporto ha analizzato 230 casi di crimini ambientali commessi nei Paesi amazzonici negli ultimi dieci anni, con l’obiettivo di comprendere le modalità e le destinazioni del riciclaggio dei proventi derivanti da tali attività illecite. Lo studio è stato condotto dal gruppo FACT Coalition, un’alleanza di oltre 100 organizzazioni impegnate nella lotta alle pratiche finanziarie corrotte. Nel rapporto, l’associazione rivela che gli Stati Uniti rappresentano la destinazione estera più comune per i prodotti e i profitti degli eco-reati commessi nella regione amazzonica. La modalità più diffusa per il riciclaggio del denaro coinvolge l’uso di società di comodo e di facciata, mentre la corruzione emerge come il crimine collaterale più frequente.
Il rapporto di FACT Coalition è stato pubblicato a fine ottobre, ed è stato redatto da Julia Yansura, direttrice del programma per la criminalità ambientale e la finanza illecita presso la FACT Coalition. Esso analizza le fonti aperte sui 230 casi di crimine ambientale per comprendere meglio come vengano commessi, e come vengano riciclati i profitti ad essi associati. I crimini registrati includono disboscamento illegale, estrazione mineraria illegale, e traffico di animali selvatici, nella maggior parte dei casi portati avanti grazie all’ausilio di società di comodo per coprire le attività illecite. I Paesi principalmente toccati dai crimini sono Colombia, Ecuador e Peru, ma la maggior parte dei prodotti arriverebbe nelle casse di aziende statunitensi. Secondo lo studio, infatti, il 25% dei casi totali e il 44% dei casi in cui era in corso un’indagine parallela avevano come destinazione una località estera. I numeri relativi ai casi esteri potrebbero però essere molto più alti, e il problema sono proprio quelle che Yansura chiama “società di copertura”.
Il rapporto conta un numero di società di copertura pari al 76% dei casi coinvolti. Il motivo per cui nella maggior parte dei casi sono coinvolte società statunitensi è che “storicamente, in larga misura, alle imprese statunitensi non è stato richiesto di identificare i loro veri titolari effettivi presso il Dipartimento del Tesoro”. Un altro motivo per cui gli Stati Uniti risultano avere un ruolo centrale in questa rete è che il settore immobiliare del Paese è esente da molte regole relative alla lotta al riciclaggio di denaro: “Reti di società di comodo e investitori stranieri” finiscono dunque spesso per acquistare “beni immobili al fine di riciclare miliardi di dollari di profitti generati, tra le altre cose, dalla criminalità ambientale”, scrive il rapporto. Le organizzazioni criminali transnazionali, insomma, utilizzano le aziende statunitensi per sfruttare le normative federali che garantiscono la poca trasparenza di cui hanno bisogno. Chi acquistando immobili e chi esportando prodotti, i gruppi criminali usano a proprio favore le leggi estere, così da riciclare il denaro e finanziare le proprie attività illecite.
Paradossalmente, uno dei problemi principali che Yansura ha trovato nella ricerca è stata la quasi totale assenza di un’indagine finanziaria parallela, a testimonianza di quanto poco si stia facendo per contrastare questo genere di attività. Eppure, quella dei crimini ambientali “rappresenta una delle economie illecite in più rapida crescita nel mondo”, oltre che “una delle più redditizie”. A dirlo non è solo FACT Coalition, ma anche analisi indipendenti dell’Interpol, che stimano che il ritmo di crescita di tali crimini sia “2-3 volte superiore a quello dell’economia globale”, e varrebbe una cifra che va “dai 91 ai 258 miliardi di dollari”. Tuttavia, secondo Yansura si può e si deve fare di più: secondo il rapporto, infatti, la mancata conduzione di indagini finanziarie parallele porterebbe spesso al mero “arresto e perseguimento di individui di basso livello che potrebbero essere essi stessi vittime, mentre i responsabili rimangono liberi”.
[di Dario Lucisano]