Un sondaggio commissionato a SWG da Greenpeace Italia, effettuato su un campione di 1.200 maggiorenni, mostra che il 55% degli italiani si oppone all’incremento delle spese militari al 2% del PIL entro il 2028, come previsto, tra gli altri, dal governo e dalla NATO. Solo il 23% si dice favorevole, mentre il 22% non si esprime. Parallelamente, il 52% degli italiani boccia l’aumento delle spese militari dell’UE, proposto dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. La proposta di tassare gli extraprofitti delle aziende belliche riceve invece ampio consenso: il 65% si dichiara favorevole. «Questi risultati dimostrano chiaramente che le cittadine e i cittadini italiani vogliono meno spese militari e più investimenti per il benessere collettivo», dice Sofia Basso, di Pace e Disarmo di Greenpeace Italia. «Al contrario, il governo Meloni ha scelto di aumentare il budget della Difesa a discapito di settori fondamentali come sanità e welfare». È proprio contro questa tendenza al rialzo che si batte la campagna “Ferma il riarmo!”, chiedendo che vengano ridotte le spese militari a favore di maggiori investimenti in salute, istruzione, ambiente, solidarietà e pace, e introducendo, piuttosto, una tassa sugli extraprofitti dell’industria bellica.
Il sondaggio SWG è stato condotto tra il 23 e il 28 ottobre 2024, prelevando un campione casuale di 1.200 italiani, di cui il 52% uomini e il 48% donne. Degli intervistati, l’8% aveva un’età compresa tra i 18 e i 24 anni, il 13% tra i 25 e i 34, il 14% tra i 35 e i 44, il 18% tra i 45 e i 54, e il restante 24% oltre i 64 anni. Gli italiani sono inoltre stati divisi per provenienza geografica in quattro macro-aree: Nord-Ovest (27% degli intervistati), Nord-Est (20%), Centro (20%), Sud e Isole (33%). La prima domanda che è stata posta ai 1.200 intervistati recitava: “Nel 2024 l’Italia ha speso circa 30 miliardi di euro in spese militari, pari all’1,5% del proprio Prodotto Interno Lordo (PIL). L’attuale governo prevede di portare le spese militari al 2% del PIL entro il 2028 per un importo annuo di circa 40 miliardi di euro. Lei è favorevole o contrario a questa proposta?”. Secondo il sondaggio, il fronte di oppositori agli aumenti di investimenti nel settore bellico sarebbe di gran lunga superiore a quello dei suoi sostenitori. Tra i più contrari si rilevano i 55-64enni (63%) e i residenti nel Nord-Est (62%), nelle Isole (62%) e nel Centro Italia (60%).
Lo studio ha posto gli italiani davanti ad altre due domande, una relativa all’incremento delle spese per la difesa nella cornice europea, e una relativa all’eventuale introduzione di una tassazione degli extraprofitti delle aziende belliche. In materia di difesa europea, i risultati pendono leggermente più a favore del sì rispetto a quelli registrati dalla prima domanda, ma restano comunque fortemente orientati su quello del no, con il fronte dei favorevoli pari al 27%, quello dei contrari al 52%, e gli indecisi al 21%. Riguardo alla tassazione degli extraprofitti, invece, i dubbi sembrano essere ancora di meno: laddove il 65% degli italiani ha espresso il suo sostegno all’idea, solo il 17% si è professato contrario, e il 18% indeciso; tra i più favorevoli emergono gli over 55 (76%), i residenti nel Nord-Est (72%) e gli uomini (71%).
La spesa militare in Italia è in crescita da anni. Durante il suo mandato, il governo Meloni ha aumentato la spesa per la difesa, nonché per l’acquisto di aerei e carri armati. In generale, anche gli esecutivi precedenti avevano incrementato l’esportazione di armamenti, così come la spesa militare, cresciuta del 60% in dieci anni, fino a superare i 32 miliardi di euro nel 2025. Questo aumento di investimenti, produzione, esportazione, e acquisto nel settore bellico risulta pienamente in linea con le richieste della NATO, dell’UE, e di Draghi. L’Alleanza Atlantica ha infatti raccomandato agli Stati di arrivare a spendere più del 2% del PIL nel settore militare, l’Unione Europea si sta muovendo per la costruzione di un piano di difesa comune, mentre il “Rapporto Draghi” consiglia molto caldamente di riservare più fondi e meno burocrazia al settore delle armi.
[di Dario Lucisano]