Oltre 400 operai lasciati a casa con un licenziamento improvviso tre anni e tre mesi fa e da undici mesi senza stipendio. Una storia come tante fatta di imprenditori, nella fattispecie britannici, che hanno tolto il disturbo non appena hanno annusato di poter aumentare i profitti altrove, delocalizzando la produzione. Una storia resa diversa dalle altre dall’organizzazione dei lavoratori, che hanno scelto di non abbassare la testa e di lottare per un futuro diverso, protestando, occupando e infine immaginando una nuova fabbrica gestita dagli operai stessi, con un progetto industriale nato dal basso e che ora vuole riprendersi i locali della fabbrica sottraendoli alla speculazione. Quella della ex GKN è una storia di resistenza, che ha dato filo da torcere ai progetti affaristici di quelli che erano i proprietari dello stabile, il fondo speculativo inglese Melrose plc. E che ora è arrivata a un momento di svolta.
«Sarà festa o rabbia» il 17 novembre, «sarà assemblea, sarà evento, sarà protesta»: con queste parole il Collettivo di Fabbrica ex GKN convoca una giornata di mobilitazione a Firenze, sotto la Torre di San Niccolò, dalle 10.30 del mattino questa domenica. Sono mesi, infatti, che i lavoratori della GKN di Campi Bisenzio (Firenze) aspettano una legge regionale per dare inizio al progetto di reindustrializzazione dello stabile, sostenuto da un azionariato popolare senza precedenti. Un progetto dal basso che vuole unire lavoro, utilità sociale e lotte climatiche e combattere l’ennesimo piano di delocalizzazione portato a termine sulla pelle dei lavoratori.
Tuttavia, mentre le trattative e le promesse si ripetevano nei mesi e i lavoratori protestavano, facevano scioperi della fame e assemblee, mentre la Regione continuava a rimandare azioni concrete, l’azienda vendeva di nascosto lo stabilimento. La notizia l’hanno scoperta gli stessi lavoratori con le loro organizzazioni sindacali e il Collettivo di Fabbrica: lo stabile di Campi Bisenzio è stato venduto il 12 marzo scorso, senza nessuna comunicazione alle parti coinvolte. QF, la società di Francesco Borgomeo ha ceduto la fabbrica a due società, la Tuscany Industry Srl (TI) e a Sviluppo Toscana Srl (SIT), entrambe controllanti di QF e create lo scorso anno sembrerebbe proprio per questo scopo. Una vera e propria beffa, denuncia il collettivo: verso lavoratori, territorio e Tribunale del Lavoro. Lo stabilimento è stato venduto per impedire il sequestro conservativo di tutti i beni mobili e immobili della società? «Ora ne abbiamo l’ufficialità: la partita è stata probabilmente fin dall’inizio immobiliare» dicono i delegati sindacali dell’ex fabbrica, «l’altra faccia della delocalizzazione». Il Collettivo di Fabbrica solleva poi sospetti sulla tempistica, dato che l’atto di compravendita e la sua registrazione si intersecano con incontri ministeriali rinviati all’improvviso, oltre che con un’istanza di ricusazione della giudice che avrebbe dovuto esprimersi sul sequestro cautelativo dei beni mobili e immobili della società, mosso dagli operai a tutela dei propri diritti. La ricusazione si è poi rivelata infondata, ma nel frattempo ha fatto slittare l’udienza per il sequestro, giusto il tempo per registrare la vendita dell’immobile. «Non ci sono più scuse. Si paghi subito tutto il dovuto ai lavoratori, si paghino immediatamente gli stipendi, e Comune e Regione Toscana intervengano per sottrarre l’area a potenziali logiche speculative» grida la RSU (Rappresentanza Sindacale Unitaria).
Oggi, 15 novembre, scadeva l’ultimatum alla Regione Toscana, chiamata a rispondere in merito alla proposta di un tavolo tecnico che lavori alla concreta attuazione del piano industriale elaborato dal Collettivo insieme al comitato tecnico scientifico solidale. Un progetto senza precedenti che ha visto nascere la GFF, la cooperativa operaia che ha studiato un business plan di 11 milioni di euro di investimenti complessivi, di cui 1,3 di azionariato popolare, con oltre cento posti di lavoro previsti. Produzione e installazione di pannelli fotovoltaici, recupero e riciclo di pannelli arrivati a fine vita, cargo-bike sia elettriche che “muscolari”: queste le linee industriali previste, che cercano di unire produzione e sostenibilità ambientale, con retribuzioni uguali a quelle percepite in epoca GKN per chi ci lavorerà. Un progetto studiato dal basso che ha voluto così rispondere a licenziamenti e delocalizzazione, speculazione industriale e immobiliare. Ma che si sta scontrando contro i forti interessi economici e politici di chi non vuole la riuscita di questa lotta popolare e sindacale, forse proprio nel timore di creare un precedente che sarebbe un duro colpo nei rapporti di forza ormai da tempo sbilanciati a favore del patronato.
Alla Regione, di fatto, i lavoratori in lotta e GFF chiedono di essere partner del progetto di reindustrializzazione e di assicurare la disponibilità dello stabilimento, valutando tutte le opzioni possibili per entrare in possesso dell’area ex GKN, dall’affitto al commissariamento, e approvando la legge sui Consorzi industriali in discussione al Consiglio regionale. Senza l’impegno della Regione il progetto industriale sarà impossibile da realizzare. Anche per questo il Collettivo ha chiamato nella giornata del 17 novembre una nuova assemblea dei (potenziali) soci finanziatori, per valutare insieme le opzioni dopo l’Ultimatum alla Regione.
«Usano contro di noi l’arma del logoramento» scrivono sui loro portali. «Il nostro piano industriale, proprio quando è reale, non può rimanere sospeso un tempo indefinito». Sarà festa o sarà rabbia. E promettono: «La fine della lotta? Che non ci sperino nemmeno. Se ci sotterrano, saremo semi. Non c’è fine, c’è solo trasformazione».
[di Monica Cillerai]