Due anni fa le immagini dell’assalto al potere da parte degli srilankesi facevano il giro del mondo. Poche ore fa i cittadini del piccolo Stato asiatico hanno votato per la composizione del nuovo Parlamento, chiudendo il cerchio aperto con la cacciata dell’ex presidente Gotabaya Rajapaksa, accusato di essere la principale causa del tracollo economico emerso proprio nel 2022. Il 62% dei voti – pari al 70% dei seggi – è finito al Potere Nazionale del Popolo (NPP), una coalizione socialista guidata dal principale partito comunista del Paese: Janatha Vimukthi Peramuna (JVP). A settembre il suo leader, Anura Kumara Dissanayake, è stato eletto nuovo presidente dello Sri Lanka. Durante il mandato potrà contare sui nuovi giochi di forza in Parlamento e portare avanti il suo programma, incentrato sulla lotta alla corruzione e sul risanamento dell’economia, ancora alle prese con la crisi divampata due anni fa.
Nato nel 2019, il Potere Nazionale del Popolo ha cavalcato il malcontento generale per imporsi sulla scena politica srilankese, già in passato caratterizzata da virate a sinistra. Alle elezioni legislative del 2020 l’alleanza conquistò appena 3 seggi su 225. Dopo quattro anni il Potere Nazionale del Popolo si trova ad occupare 159 scranni, più dei due terzi necessari a riformare la Costituzione. Dell’alleanza fanno parte 21 tra partiti, sindacati, associazioni femministe e organizzazioni giovanili, riuniti sotto l’ombrello del socialismo. Tra le diverse correnti figura il marxismo, di cui il Janatha Vimukthi Peramuna si è autoproclamato massimo rappresentante. Tra gli anni ’70 e ’80 il JVP abbracciò la lotta armata, con l’obiettivo di istituire in Sri Lanka uno Stato marxista. Fallito il tentativo rivoluzionario, il partito si è riorganizzato su basi più moderate, accettando le regole della democrazia parlamentare.
Nel 2022, quando la famiglia dei Rajapaksa occupava le cariche di presidente, primo ministro e ministro delle Finanze, lo Sri Lanka è finito in bancarotta e ha chiesto l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Quest’ultimo ha riproposto la classica formula neoliberista dei prestiti in cambio di politiche di austerità, particolarmente gravose per il popolo che così si è ribellato, arrivando alla cacciata dei Rajapaksa. Il JVP e l’alleanza del Potere Nazionale del Popolo si sono schierati contro l’accordo con l’FMI, che prevedeva tasse più elevate e la svendita delle imprese statali. Ispirato oggi da un marxismo annacquato, il Janatha Vimukthi Peramuna intende unire l’intervento statale nell’economia e la collaborazione con il settore privato, dichiarandosi solo contrario a “un’eccessiva privatizzazione”. Tra gli obiettivi perseguiti figurano la riduzione della pressione fiscale per i ceti meno abbienti e il miglioramento del sistema di welfare.
Il primo partito del NPP ha sostituito il massimalismo con il carattere nazionalista, preferendo puntare non sulla lotta di classe ma sul sentimento singalese-buddhista. Quest’ultimo si contrappone ai Tamil, una minoranza che fino a pochi anni fa cercava l’indipendenza trovando la violenza della pulizia etnica perpetrata dalle istituzioni nazionaliste. Tra il 1983 e il 2009 lo Sri Lanka è stato attraversato da una sanguinosa guerra civile, macchiata dagli abusi dei due schieramenti in campo: le istituzioni singalesi e le Tigri per la liberazione della patria Tamil (LTTE). Ancora oggi i Tamil denunciano discriminazioni e violazioni dei diritti umani, chiedendo una maggiore autonomia per le regioni abitate prevalentemente da loro. Aspetti che adesso dovranno gestire il Janatha Vimukthi Peramuna e la sua coalizione, insieme alle altre sfide economiche e sociali che attendono il nuovo Sri Lanka.
[di Salvatore Toscano]