Marc Augé, antropologo e filosofo francese, negli anni Novanta coniò il termine «non-luogo» per definire tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali o storici. Fanno parte dei non-luoghi sia le strutture necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei beni (tangenziali, autostrade, aeroporti etc.), sia i mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, gli outlet e tutti quegli spazi in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare in relazione, sospinti dal solo desiderio frenetico di consumare o di accelerare le operazioni quotid...
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Mah….sono le forme della socialità che sono cambiate. Sicuramente, la spinta al consumo è decisiva, e informa di sé le decisioni pubbliche e l’immaginario collettivo. Bisognerebbe forse sul valore odierno della gratuità. Cosa impedisce di stare insieme? Un ambiente inospitale o la voglia di esserci nei luoghi che contano?
Interessante minestrone che partendo da Augè arriva ai dissuasori “antideretani”… sarebbero forse da definire differenze e responsabilità pubbliche e private. Ma questa è una questione di stile e forse anche di spazio, non entriamoci.
Drammaticamente fuori luogo appare invece la foto con didascalia: …due torri residenziali a Milano ricoperte da oltre 20.000 piante e arbusti. Un chiaro esempio di architettura sostenibile che contribuisce a migliorare il microclima urbano.
Dato che si parla del sociale, si dovrebbe ricordare che le due torri in questione (apprezzate in tutto il mondo) sono residenze private, costose per concezione, gestione e manutenzione… (senza parlare del benessere delle piante utilizzate) .
In un film neorealista mi sembra di ricordare che i poveri, la domenica, andassero a guardare i ricchi che mangiavano il gelato. Niente contro il gelato, ma non lo indicherei come un esempio di socialità sostenibile…
Ed è per questo bisogna lasciarle quanto prima
considerazioni interessanti: avevo percepito qualcosa ma non immaginavo fosse pianificato.
Splendido articolo e concetto assi interessante. Grazie per il tuo lavoro.