Decine di migliaia di cittadini pakistani stanno marciando da giorni verso la capitale, Islamabad, in sostegno all’ex primo ministro Imran Khan e per chiederne la scarcerazione. Lo hanno fatto a piedi o in auto, creando code chilometriche lungo le principali arterie stradali che arrivano in città. L’Alta Corte del Pakistan ha infatti deciso di concedere al politico, in carcere dal gennaio scorso con accuse di diffusione di segreti di Stato e di corruzione, la libertà su cauzione. Le forze dell’ordine hanno isolato la città chiudendo le principali vie di accesso e istituendo una Zona Rossa, e cercato di fermare l’avanzare dei manifestanti. Nei violenti scontri che si sono verificati, tra lancio di gas lacrimogeni, sassi, proiettili veri e di gomma, sono stati registrati sei morti e decine di feriti, mentre sono circa 4 mila le persone arrestate.
La lunga marcia sulla capitale, alla quale hanno preso parte decine di migliaia di pakistani, si sarebbe messa in moto già da sabato. Intorno alle 9.30 di oggi (ora italiana, circa le 13.30 locali) i manifestanti sono entrati nella capitale Islamabad, riuscendo ad avvicinarsi alla Zona Rossa, dove è stato dispiegato l’esercito. Questa comprende diversi edifici governativi, tra i quali l’ufficio del primo ministro e il palazzo dell’Assemblea Nazionale, e la piazza centrale D-Chwok, verso la quale i manifestanti sembrano volersi dirigere. All’arrivo in città, la folla in marcia si è scontrata con le forze di polizia, che ha lanciato gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Tra le richieste dei manifestanti vi sono la fine della persecuzione politica di Khan, che questi sia rilasciato insieme a tutti gli altri prigionieri politici e che venga riconosciuto il vero risultato delle elezioni parlamentari svoltesi all’inizio dell’anno, la cui vittoria, secondo i sostenitori di Khan, sarebbe stata conseguita dalla Lega Musulmana Pakistana (PML-N) di Nawaz Sharif in modo fraudolento. Secondo alcuni media, che citano dichiarazioni del ministero dell’Interno, sarebbero almeno sei i morti registrati negli scontri, quattro paramilitari e due poliziotti.
Al governo dal 2018, nel 2022 Khan viene destituito attraverso un voto di sfiducia da parte del partito che gli garantiva la maggioranza e sostituito da Shehbaz Sharif, suo rivale. A contribuire alla sua rimozione, tra le altre cose, vi è la scomoda politica interna da lui mantenuta, improntata alla lotta contro la corruzione dilagante nella nazione islamica, e la politica estera non allineata con gli interessi statunitensi. È lui stesso a denunciare le forti ingerenze USA, che hanno indotto i politici pakistani a piegarsi alla volontà della Casa Bianca, confermando la subalternità della classe dirigente della nazione. Dopo la destituzione Khan viene arrestato ma successivamente scarcerato su ordine della Corte Suprema del Pakistan, dopo un’ondata di proteste molto violente. Nello stesso anno, Khan è vittima di un tentato omicidio. Nel 2023, Khan viene arrestato nuovamente con l’accusa di corruzione e condannato a 3 anni di carcere, fatto che scatena nuovamente l’ira popolare. Secondo i suoi sostenitori, infatti, le accuse contro di lui sono tutte di natura politica. Nel febbraio di quest’anno si sono svolte elezioni parlamentari, nelle quali, secondo quanto sostenuto dai sostenitori di Khan, i candidati indipendenti legati all’ex primo ministro avrebbero ottenuto la quota maggiore in Parlamento. Al momento del risultato, Khan si trovava in carcere con una condanna a 10 anni per aver divulgato segreti di Stato, giunta proprio a ridosso delle elezioni.
[di Valeria Casolaro]