Un numero record di lobbisti dell’industria della plastica sta partecipando ai negoziati per definire un trattato globalmente vincolante che ponga fine all’inquinamento da rifiuti plastici. I colloqui, in corso in Corea del Sud nella cornice del Comitato Intergovernativo di Negoziazione (INC-5), rappresentano una tappa cruciale per l’elaborazione dell’accordo. Uno dei punti centrali della conferenza è la possibile inclusione di limiti alla produzione globale di plastica nel documento. Tuttavia, i lobbisti e i principali produttori di polimeri continuano a opporsi fermamente a qualsiasi restrizione sulla quantità di plastica che può essere prodotta. Secondo diverse associazioni ambientaliste, il timore è che l’influenza di questi gruppi possa incidere negativamente sulle decisioni finali.
A lanciare l’allarme è il Center for International Environmental Law (CIEL), che ha pubblicato uno studio che testimonia come i lobbisti dell’industria chimica e dei combustibili fossili siano presenti in numero record ai colloqui, superando con ampio margine il contingente di esperti indipendenti e scienziati. Mentre molte delegazioni nazionali, soprattutto quelle dei Paesi in via di sviluppo, hanno partecipato con risorse limitate, associazioni come Plastics Europe e il World Plastics Council si sono presentate con rappresentanze numerose e ben finanziate. Secondo quanto appurato, infatti, «sono 220 i lobbisti dell’industria chimica e dei combustibili fossili registrati per partecipare all’INC-5, il numero più alto tra tutte le negoziazioni per il trattato sulla plastica finora analizzate dal CIEL, più del precedente massimo di 196 lobbisti identificati all’INC-4». Complessivamente, i lobbisti costituirebbero infatti «la delegazione singola più numerosa all’INC-5, superando di gran lunga i 140 rappresentanti della Repubblica di Corea ospitante», ma anche «le delegazioni dell’Unione europea e di tutti i suoi Stati membri messi insieme (191), gli 89 rappresentanti dei piccoli Stati insulari in via di sviluppo del Pacifico (PSIDS)» e «165 delegati dall’intera regione latinoamericana e caraibica (GRULAC)». L’analisi ha inoltre rivelato che alcuni lobbisti che hanno preso parte ai colloqui in qualità di membri delle delegazioni di alcuni Paesi, tra cui Cina, Repubblica Dominicana, Egitto, Finlandia, Iran, Kazakistan e Malesia. «L’analisi di Ciel rivela come queste lobby industriali siano disposte anche ad avvelenare il nostro pianeta e la salute delle persone per sabotare l’accordo pur di proteggere i propri profitti», ha dichiarato Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, che in una nota ha spiegato quanto sia invece indispensabile giungere a «un accordo ambizioso e legalmente vincolante per ridurre la produzione di plastica ed eliminare la plastica monouso, per proteggere la nostra salute, le nostre comunità, il clima e il pianeta».
La quinta sessione del Comitato Intergovernativo per i Negoziati (INC-5), in corso a Busan, costituisce un momento cruciale per la definizione di un trattato globale contro l’inquinamento da plastica. Questo strumento, giuridicamente vincolante, è stato richiesto dall’Assemblea delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEA) con la risoluzione del 14/5 del 2022, che fissa come termine per i negoziati la fine del 2024. Tuttavia, i progressi rimangono lenti, complicati dalle divergenze tra i Paesi coinvolti. Le sessioni sono organizzate in quattro gruppi di lavoro, ciascuno dedicato a temi specifici come prodotti in plastica, gestione dei rifiuti, finanziamenti e meccanismi finanziari di trasferimento di tecnologie e di cooperazione internazionale e principi generali del trattato. Oltre 900 scienziati indipendenti hanno firmato una dichiarazione che invita i negoziatori delle Nazioni Unite a concordare un trattato globale sulla plastica completo e ambizioso, basato su solide prove scientifiche, con l’obiettivo di porre fine all’inquinamento causato dalla plastica entro il 2040. A opporsi a tale prospettiva sono però, in particolare, Paesi con grandi industrie di combustibili fossili come Arabia Saudita, Russia e Iran, che hanno evitato tagli alla produzione.
[di Stefano Baudino]