Giovedì 28 novembre, il Parlamento australiano ha approvato un emendamento di legge che vieta ai minori di sedici anni l’accesso ai social. La normativa è nata per rispondere a ciò che il Primo Ministro Anthony Albanese aveva definito come un “chiaro nesso causale tra la diffusione dei social media e i danni alla salute mentale dei giovani australiani”. Il divieto entrerà in effetto tra un anno e prevede la possibilità di multare le grandi aziende tech fino a 49,5 milioni di dollari australiani, circa 30,7 milioni di euro.
La Social Media Minimum Age Bill è passata in Senato con 34 voti a favore, 19 contrari. Venerdì mattina, la Camera dei Rappresentanti ha confermato a sua volta l’approvazione della norma. Un risultato netto, ma che non è stato indolore o privo di anomalie procedurali: il disegno di legge è stato presentato la settimana scorsa, i tempi dedicati alle consultazioni sono stati ristrettissimi e l’intera operazione è stata strutturata perché venisse risolta entro il termine del calendario parlamentare, il quale vedeva appena tre giorni di sedute rimasti.
Le Big Tech si sono opposte allo strumento legislativo pensato esplicitamente per multarle, tuttavia opinioni contrarie sono emerse in gran numero anche dal mondo accademico e da quello sociale. Amnesty International aveva chiesto di bocciare la proposta, una posizione condivisa dalla Australian Child Rights Taskforce, una think tank composta da 140 ricercatori e accademici. La Commissione dei diritti umani dell’Australia ha detto di avere delle “serie riserve”, mettendo in guardia sul fatto che la legge potrebbe intaccare i diritti delle giovani generazioni.
I detrattori della nuova norma sostengono che l’approccio restrittivo sarà difficilmente in grado di raggiungere gli obiettivi prefissati dalla classe politica, anzi rischierà di troncare i rapporti sociali intrattenuti tra minori o li incanalerà verso destinazioni meno visibili e potenzialmente più pericolose. Queste obiezioni non sono però state accolte dal partito politico laburista guidato da Albanese, il quale deve ripresentarsi al voto nel 2025 ed è particolarmente interessato a imbonire il popolo. “Desideriamo che i nostri figli abbiano un’infanzia e che i genitori sappiano che gli copriamo le spalle”, ha dichiarato il Primo Ministro dopo l’approvazione della legge. Secondo YouGov, il 77% dei cittadini australiani si era detto favorevole all’introduzione della norma.
Le aziende influenzate dalla legge non vengono nominate per nome, tuttavia la Ministra delle comunicazioni Michelle Rowland ha citato Snapchat, TikTok, X, Instagram, Reddit e Facebook come potenziali realtà che dovranno prestare maggiore attenzione all’anagrafica dei propri utenti. I documenti riportano che saranno esentate le piattaforma che sono fruibili anche senza dover creare un profilo utente, tra cui alcuni portali videoludici e certi programmi di messaggistica, nonché quei sistemi che vengono adoperati ai fini medici ed educativi. Tra questi, non senza polemiche, YouTube, il quale è stato salvaguardato anche dal fatto che viene adoperato nelle scuole per fruire dei video istruttivi caricati sulla Rete.
Ci sono parecchi dubbi su come questa legge possa effettivamente prendere forma. I carteggi non esprimono nessuna opinione in merito, si limitano a scaricare il problema sulle aziende, chiedendo loro di assumere “misure ragionevoli” per fronteggiare la situazione. L’unica indicazione fornita dal Parlamento è che le Big Tech dovranno verificare l’anagrafica degli utenti senza attingere a nessun documento d’identità.
[di Walter Ferri]