venerdì 22 Novembre 2024

Afghanistan, gli Usa si stanno ritirando o stanno solo privatizzando la guerra?

Il 14 aprile scorso, il Presidente USA, Joe Biden, ha annunciato l’intenzione di porre fine alla guerra in Afghanistan, contro il parere dei generali, prevedendo il ritiro delle truppe statunitensi e delle forze NATO per l’11 settembre prossimo. Sono circa 3.000 le unità dell’esercito a stelle e strisce presenti nel paese mentre 8.000 sono quelle facenti parte del gruppo NATO. A ben vedere però, la verità è che gli Stati Uniti e la NATO lasceranno il campo ai servizi di intelligence e agli appaltatori privati di mercenari e corpi di sicurezza.

Le truppe che torneranno in patria sono infatti quelle ufficiali e regolari mentre sul campo di battaglia rimarranno circa 18.000 privati ingaggiati dagli appaltatori del Dipartimento della Difesa statunitense. Non è certamente la prima volta che vengo impiegati contractors in missioni militari statunitensi ma l’Afghanistan, come l’Iraq, risulta essere un esperimento radicale nel governo aziendale, come affermato da Naomi Klain in The Shock Doctrine: The Rise of Disaster Capitalism (2007), e nella gestione d’impresa della guerra, con pesanti commistioni tra politici e aziende appaltatrici. L’annuncio di Biden sembra dunque essere pura propaganda, visto che su suolo afgano rimarrà una «combinazione oscura di forze clandestine delle operazioni speciali, appaltatori del Pentagono e agenti segreti dell’intelligence», come riportato dallo stesso New York Times.

D’altronde, gli USA hanno speso miliardi di dollari in una guerra che dura da vent’anni e che certamente non ha migliorato le condizioni del paese, né in termini di diritti umani né sul fronte della lotta al terrorismo, e che anzi ha distrutto un paese favorendo la corruzione, il traffico di droga (oppio) e imponendo i propri interessi geostrategici ed economici – vista anche la scoperta da parte dello United States Geological Service di depositi minerari di ferro, rame, cobalto, oro e litio, per un valore di 1 trilione di dollari.

Per quanto riguarda la droga, è interessante sottolineare come l’Afghanistan sia divenuto il maggior produttore mondiale di oppio dopo l’invasione da parte statunitense. Nel 2001, con i Talebani al potere, il paese produceva solamente 74 tonnellate di oppio (che, oltre al suo consumo serve per produrre eroina e molti farmaci liberamente in vendita). Nel 2008, il paese è arrivato a produrre 9.000 tonnellate all’anno di oppio, divenendo il maggior produttore incontrastato a livello mondiale producendone il 93% del totale.

«Un processo di pace è ciò di cui il popolo afghano ha bisogno e merita dopo tanti decenni di sofferenze crudeli e inimmaginabili», ha affermato con voce critica Matthew Hoh, membro del Center for International Policy e membro della Eisenhower Media Initiative, facendo inoltre presente che gli USA rimangono sempre pronti ad attaccare attraverso droni o squadroni aerei d’attacco con equipaggio, di stanza sulle basi terrestri e sulle portaerei presenti nella regione, oltre che con missili da crociera su navi e sottomarini.

Insomma, dietro la propaganda della potenza mondiale, che non allenta veramente la tensione e il conflitto nell’intera area, c’è chi tra le numerosissime compagnie militari private si sfrega le mani pronto ad accaparrarsi il prossimo contratto milionario.

[di Michele Manfrin]

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