venerdì 10 Gennaio 2025

Al-Jolani, il jihadista che ha deposto Assad e ora manda messaggi rassicuranti a tutti

Dopo la presa di Damasco da parte del variegato gruppo dell’opposizione siriana, le strade della capitale si sono riempite di persone scese in piazza a festeggiare la caduta di una dinastia durata oltre mezzo secolo. Conquistata la capitale, Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), il principale gruppo che ha guidato l’avanzata “ribelle”, ha rapidamente rilasciato comunicati cercando di tranquillizzare la popolazione e chiedendo la collaborazione del popolo siriano per una transizione pacifica. Dopo poche ore, sono iniziati a entrare nel Paese i primi giornalisti occidentali, e Abu Mohamed Al-Jolani, leader di HTS, ha fatto la sua comparsa pubblica, entrando nella moschea degli Omayyadi davanti a una folla di persone. Sulla sua testa pende ancora una taglia di 10 milioni di dollari, ma sui media statunitensi stanno già uscendo le prime voci secondo cui Washington starebbe considerando di eliminare la ricompensa per la sua uccisione. Figura emblematica dall’approccio jihadista, Al-Jolani è noto per i suoi vecchi legami con Al-Qaeda e il suo passato travagliato con Daesh (l’ISIS), gruppi da cui si è gradualmente distaccato per creare una nuova organizzazione dagli analoghi principi, ma da molti considerata più moderata.

Ahmed Hussein al-Shar’a, noto col nome di battaglia Abu Mohammad Al-Jolani, o più semplicemente Al-Jolani, ha 42 anni ed è nato a Riyad, capitale dell’Arabia Saudita, da una famiglia di sfollati siriani proveniente dalle alture del Golan. La famiglia di Al-Jolani lasciò la Siria nel 1967 dopo l’occupazione israeliana durante la Guerra dei Sei Giorni. Suo padre, Hussein al-Shar’a, ingegnere petrolifero nell’industria saudita, era stato in patria un attivista nasserista, ideologia panaraba con elementi socialisti e anti-imperialisti promossa dall’egiziano Gamal Abdel Nasser. La famiglia tornò in Siria nel 1989. Nonostante il passato del padre, Al-Jolani attribuisce l’inizio della sua radicalizzazione agli eventi della seconda intifada del 2000. In un’intervista a PBS, Al-Jolani ha dichiarato: «Ero ancora un ragazzo; in quel momento ho iniziato a pensare a come avrei potuto perseguire il mio dovere di difendere la nazione, che era perseguitata dagli occupanti e dagli invasori. Ma dobbiamo contestualizzare questo modo di pensare. Ero un giovane di 18 anni. Quindi è stato un pensiero spontaneo, innato. Non è stato politicizzato o diretto». Qualche anno dopo, poco prima del lancio dell’invasione irachena da parte degli USA, Al-Jolani partì per Baghdad e iniziò a spostarsi per il Paese militando tra le fila di Al-Qaeda. Il Financial Times attribuisce ad Al-Jolani un ruolo di punta nell’organizzazione, mentre il Times of Israel scrive di presunti legami con Al-Zarqawi, il leader di Al-Qaeda. Al-Jolani, tuttavia, sostiene di non avere mai incontrato Al-Zarqawi e che in quegli anni si limitava a servire per l’organizzazione come soldato di fanteria. Nel 2006, prima dello scoppio della guerra civile in Iraq, Al-Jolani venne arrestato dagli Stati Uniti, che iniziarono a trasferirlo da una prigione all’altra; restò in carcere per più di 5 anni.

Il suo rilascio nel 2011 coincise con lo scoppio della rivoluzione siriana, così Al-Jolani tornò in patria per fondare il ramo siriano di Al-Qaeda. In seguito a un accordo con Abu Bakr Al-Baghdadi, futuro califfo dell’ISIS, sorse così il ramo siriano di Al-Qaeda, Jabhat Al-Nusra, che col tempo divenne una delle firme jihadiste più forti del Paese. I rapporti con Daesh rimasero di reciproco scambio e collaborazione fino a circa il 2013, anno in cui Al-Baghdadi tentò di fondere Al-Nusra con l’ISIS, e fare diventare l’organizzazione con a capo Al-Jolani un ramo dello Stato Islamico. Al-Jolani vi si oppose, perché non voleva che Al-Nusra perdesse autonomia. Nonostante il rifiuto tanto di Al-Nusra, quanto di Al-Qaeda, Al-Baghdadi procedette con la fusione, e inaugurò gli scontri tra le due fazioni. Col tempo Al-Jolani mutò le proprie posizioni diventando più moderato e distaccandosi anche da Al-Qaeda; di fondamentale importanza fu il cambio di prospettiva sul destino del gruppo, che Al-Jolani iniziò a vedere come limitato alla Siria. Con l’abbandono delle idee di jihad transnazionale, Al-Nusra cambiò nome e divenne Jabhat Fateh Al-Sham (Fronte per la Conquista della Siria), che dichiarò la sua indipendenza dagli altri gruppi islamisti della zona (senza tuttavia mai citare direttamente il nome di Al-Qaeda). Nel 2017, invece, Jabhat Fateh Al-Sham confluì nella più grande organizzazione islamista di HTS, e Al-Jolani ne divenne il leader.

Come capo di HTS, Al-Jolani iniziò a combattere le firme islamiste più radicali e a opporsi anche ad Al-Qaeda. Negli anni, HTS consolidò la sua presenza a Idlib, ma venne confinata lì. A partire da quel periodo, il gruppo avviò un processo di trasformazione per presentarsi come un attore più moderato e politicamente accettabile, e in particolare per guadagnare legittimità internazionale e ridurre il rischio di interventi esterni. Nel 2017, HTS sostenne la creazione del Governo di Salvezza Nazionale, un’entità amministrativa con sede a Idlib, formalmente separata dal controllo diretto del gruppo armato, distaccandosi da pratiche radicali e cercando un dialogo con le minoranze locali. Il governo si occupa tutt’ora della gestione dei servizi pubblici e ha l’obiettivo di risignificare l’immagine del gruppo come organizzazione capace di proporsi come alternativa civile ad Assad. Con la presa di Damasco di ieri, in teoria, l’obiettivo principale di HTS è stato raggiunto, e il processo di “civilizzazione” del gruppo è stato portato avanti. Nel corso della stessa avanzata, HTS ha rilasciato diversi comunicati rivolgendosi agli altri gruppi della zona, sostenendo di non voler fare nulla contro di loro e di puntare solo alla caduta di Assad. Dopo la conquista della capitale, HTS ha continuato a diffondere messaggi analoghi e ha ordinato al popolo di non saccheggiare o danneggiare gli edifici della città. La popolazione per ora sembra avere saccheggiato il palazzo presidenziale, la residenza di Assad e l’ambasciata iraniana, e ha rovesciato la statua di Hafez al-Assad, padre di Bashar. Al-Jolani ha anche parlato con il primo ministro di Assad e ha dichiarato di volere lasciare in carica il governo per assicurare una transizione democratica.

Nel frattempo, mentre in Siria le ambasciate iniziano a cambiare bandiera, stanno già spuntando le prime reazioni internazionali. La Russia ha evitato di esporsi troppo e si è limitata a dire di stare seguendo la «situazione drammatica», annunciando intanto di avere concesso asilo ad Assad. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden non ha preso le distanze dai ribelli e ha dichiarato di sperare che la Siria venga dotata di una «nuova Costituzione e un nuovo governo che serva tutti i siriani». Gli USA, continua Biden, manterranno la propria presenza militare nel Paese per monitorare la situazione e continuare a combattere le cellule di Daesh, come tra l’altro fatto ieri stesso. Anche Macron e Scholz hanno festeggiato la caduta di Assad; il presidente francese, in particolare, ha voluto rendere «omaggio al popolo siriano, al suo coraggio». Tajani, invece, ha rassicurato i cittadini italiani comunicando che, nella mattina di ieri, «un gruppo armato è entrato nel giardino della residenza dell’ambasciatore d’Italia», rubando «soltanto 3 automobili». L’Iran ha dichiarato che l’Ayatollah Khamenei parlerà alla popolazione mercoledì 11 dicembre, mentre Israele ha festeggiato la caduta di Assad superando con i carri armati il confine del Paese, rimarcando il proprio ruolo fondamentale nella presa di Damasco, ricoperto con il suo contrasto attivo all’Iran. Festeggiano, infine, anche i curdi, ma con moderatezza: le Forze Siriane Democratiche hanno definito il momento «storico», ma annunciato di avere subito attacchi a nord dall’Esercito Siriano Libero.

[di Dario Lucisano]

L'Indipendente non riceve alcun contributo pubblico né ospita alcuna pubblicità, quindi si sostiene esclusivamente grazie agli abbonati e alle donazioni dei lettori. Non abbiamo né vogliamo avere alcun legame con grandi aziende, multinazionali e partiti politici. E sarà sempre così perché questa è l’unica possibilità, secondo noi, per fare giornalismo libero e imparziale. Un’informazione – finalmente – senza padroni.

Ti è piaciuto questo articolo? Pensi sia importante che notizie e informazioni come queste vengano pubblicate e lette da sempre più persone? Sostieni il nostro lavoro con una donazione. Grazie.

Articoli correlati

3 Commenti

Iscriviti a The Week
la nostra newsletter settimanale gratuita

Guarda una versione di "The Week" prima di iscriverti e valuta se può interessarti ricevere settimanalmente la nostra newsletter

Ultimi

Articoli nella stessa categoria