Immaginate di essere stati assunti come operai per una ditta che produce mobili. Siete disoccupati, il lavoro è a 200 km da casa, ma vi promettono un alloggio e uno stipendio adeguato. Accettate l’offerta e partite alla ricerca di un futuro migliore. Invece vi ritrovate a lavorare 12 ore al giorno, venendo pagati solo per 8, per sei giorni alla settimana. Le condizioni di lavoro sono prive di sicurezza e vi tocca dormire nello stesso capannone in cui lavorate, senza riscaldamento, su materassi buttati per terra. È quanto accaduto a un gruppo di operai pakistani reclutati a Prato da una ditta, la Sofalegname, che produce mobili imbottiti a Forlì. «Avevano detto che col tempo ci avrebbero trovato una casa – racconta uno di loro – ma il tempo passava e noi restavamo sempre lì, nel magazzino». Dopo otto mesi, con l’arrivo dell’inverno, la situazione è diventata insostenibile. Così i 17 operai della ditta hanno occupato gli uffici riscaldati dello stabilimento, dove ora dormono, e hanno allestito un presidio davanti alla Gruppo 8, l’azienda madre che subappalta il lavoro alla Sofalegname. La sede della Gruppo 8 si trova a poche centinaia di metri di distanza.
Da sabato 7 dicembre, ogni mattina, gli operai accendono un fuoco per scaldarsi e si siedono davanti ai cancelli, bloccando di fatto la produzione di entrambi gli stabilimenti. Sopra di loro sventolano alcune bandiere con scritto «8 X 5». «Significa 8 ore per 5 giorni di lavoro – spiega Sarah Caudiero, sindacalista di Sudd Cobas – è questa la loro richiesta, oltre naturalmente a ottenere una sistemazione dignitosa». Richieste che rappresenterebbero il minimo sindacale in una situazione normale. «Stiamo parlando della semplice applicazione del contratto collettivo nazionale – continua Caudiero – invece ci troviamo davanti a una realtà pianificata per abbattere i costi, a scapito della dignità dei lavoratori».
Una forma di sfruttamento alla luce del sole, ben nota ai sindacalisti di Sudd Cobas che operano a Prato. In quella città gli alloggi di fortuna ricavati direttamente nelle fabbriche per gli operai cinesi sono stati una prassi fino al 2013, quando un incendio nell’azienda tessile Teresa Moda causò la morte di otto persone, sorprese nel sonno dalle fiamme. Per quella tragedia le due titolari dell’azienda sono state condannate, ma nel frattempo sono tornate in Cina. Anche la Gruppo 8 di Forlì ha legami con la Cina: fa capo alla multinazionale della moda HTL, con sede a Singapore. «A Prato, nel corso degli anni, i controlli sono aumentati e le condizioni di lavoro sono migliorate, anche se persistono turni massacranti e sottopagati – continua Caudiero – mentre a Forlì regna la confusione».
Forlì si trova infatti in una delle zone dove, negli ultimi anni, il settore del mobile è cresciuto significativamente. Secondo un rapporto di Intesa Sanpaolo, nel 2023 le esportazioni sono aumentate del 63,3% rispetto al 2019. La Romagna rappresenta infatti un “Distretto del’imbottito” composto da oltre 300 aziende, molte delle quali piccole o piccolissime, le quali operano in un contesto fertile – anche grazie, secondo la CGIL, alla mancanza di controlli. «Queste persone vengono qui per lavorare, ma si trovano in condizioni disumane – spiega Antonella Arfelli di Fillea CGIL – Giovedì scorso abbiamo partecipato a un tavolo con la Prefettura, chiedendo maggiore attenzione da parte delle forze dell’ordine, affinché casi come questo emergano più spesso».
E l’azienda? Gruppo 8, attraverso il suo legale Massimiliano Pompignoli, consigliere comunale di Fratelli d’Italia, respinge le accuse, dichiarandosi estranea alla vicenda, scaricando la colpa sulla Sofalegname e minacciando di prendere provvedimenti. Durante l’incontro con i sindacati, avvenuto giovedì mattina, si è persino ipotizzata la cassa integrazione per tutti gli operai, a causa del blocco dello stabilimento e delle consegne che non vengono portate a termine. Una sorta di scaricabarile tra Gruppo 8 e Sofalegname, mentre i lavoratori restano nel mezzo. «Si sta interrompendo l’attività dell’azienda senza alcun fondamento, creando enormi disagi sia dal punto di vista lavorativo che economico», ha dichiarato Pompignoli.
Una parola, «disagi», che sembra un insulto alla realtà, di fronte alle condizioni di vita di 17 persone costrette, da otto mesi, a dormire in un magazzino.
[di Fulvio Zappatore]
adesso chiedetevi come mai i divani che vendono in televisione costano così poco e non terminano mai le promozioni… qualcuno paga la qualità artigianale venduta o meglio spacciata come slogan.