lunedì 16 Dicembre 2024

Il DNA dell’Homo Sapiens più antico d’Europa rivela nuovi dettagli sull’incontro coi Neanderthal

Appartengono ad una donna vissuta nell’attuale Repubblica Ceca e ad almeno sei individui provenienti dalla città di Ranis in Germania e rivelano dettagli tutt’altro che indifferenti riguardo alla nostra evoluzione: sono i più antichi genomi umani finora noti, risalenti a circa 45mila anni fa e contenenti le tracce del primo incontro tra Homo Sapiens e Neanderthal. È quanto emerge da due nuovi studi scientifici che hanno riscontrato risultati simili, ottenuti da ricercatori del Max Planck Institute e dall’Università della California a Berkeley ed inseriti rispettivamente sulla rivista scientifica Nature in pubblicazione rapida e sulla rivista Science dopo revisione paritaria. Le analisi evidenziano come l’incrocio tra le due specie sia stato un processo lungo e ripetuto, e che tale fenomeno inoltre risultò cruciale per influenzare l’adattamento a climi rigidi e patogeni grazie a mutazioni ancora presenti nei genomi moderni. «Eravamo molto più simili di quanto fossimo diversi», ha commentato Priya Moorjani, professoressa dell’Università della California e coautrice della ricerca pubblicata su Science.

I Neanderthal, una specie umana estinta, vissero in Eurasia per circa 250.000 anni, adattandosi a climi rigidi durante l’era glaciale. Parallelamente, l’Homo sapiens emerse in Africa circa 300.000 anni fa, migrando in altre regioni a partire da circa 60.000 anni fa. L’incontro tra le due specie è documentato da tracce genetiche rinvenute nei genomi umani moderni anche se, grazie alle ricerche pubblicate recentemente, non è escludibile che diverse ipotesi vengano aggiornate grazie alle nuove evidenze. Gli scienziati, attraverso tecnologie avanzate di sequenziamento del DNA, hanno analizzato 13 frammenti ossei rinvenuti in una grotta sotto un castello medievale a Ranis, in Germania, i quali risalivano a circa 45.000 anni fa e hanno permesso di stabilire che i loro antenati che vivevano nell’area circostante si sarebbero incrociati con i Neanderthal circa 80 generazioni prima. Lo studio pubblicato su Science, che ha analizzato le informazioni dai genomi di 59 esseri umani antichi confrontandole con quelle dei genomi di 275 esseri umani moderni, ha riscontrato risultati simili, individuando un periodo iniziato circa 50.500 anni fa e terminato 43.500 anni fa caratterizzato da una elevata attività di incroci e scambi genetici. «Le differenze che immaginavamo fossero molto grandi tra questi gruppi, in realtà erano molto piccole, geneticamente parlando. Sembra che si siano mescolati tra loro e abbiano vissuto fianco a fianco per un lungo periodo di tempo», ha commentato la ricercatrice Priya Moorjani.

Inoltre, le analisi hanno rivelato che i Neanderthal contribuirono significativamente al patrimonio genetico umano con varianti legate all’immunità, alla pigmentazione della pelle e al metabolismo, cruciali per l’adattamento a climi rigidi. «I Neanderthal vivevano fuori dall’Africa in climi rigidi, da era glaciale, e si erano adattati al clima e ai patogeni di questi ambienti. Quando gli esseri umani moderni lasciarono l’Africa e si incrociarono con i Neanderthal, alcuni individui ereditarono geni dei Neanderthal che presumibilmente permisero loro di adattarsi e prosperare meglio nell’ambiente», ha spiegato Leonardo Iasi, coautore dello studio pubblicato su Science. Tuttavia, spiegano i ricercatori, le varianti ereditate non sono distribuite in modo uniforme nel nostro genoma: alcune regioni, chiamate dagli esperti “deserti arcaici”, risultano totalmente prive di geni neandertaliani. Questi “deserti” si sarebbero formati rapidamente, entro 100 generazioni, dopo che i due gruppi si sono incrociati, forse a causa di difetti alla nascita o malattie che avrebbero influenzato radicalmente le possibilità di sopravvivenza della prole. In particolare, è stato scoperto che il cromosoma X faceva parte di queste regioni e ciò, secondo il genetista non coinvolto Tony Capra, sarebbe dovuto al fatto che effettivamente è presente in due copie nelle femmine ma solo una nei maschi: «Il cromosoma X ha anche molti geni che sono collegati alla fertilità maschile quando modificati, quindi è stato proposto che parte di questo effetto potrebbe essere derivato dall’introgressione che porta alla sterilità ibrida maschile». In tutti i casi, nonostante serviranno maggiori ricerche a riguardo, rimane il fatto che «i dati genetici di questo periodo cruciale della nostra evoluzione sono molto rari» e che gli studi «sottolineano come avere anche solo pochi genomi antichi fornisca una prospettiva potente che ha permesso agli autori di affinare la nostra comprensione della migrazione umana e dell’introgressione dei Neanderthal», ha concluso il genetista.

[di Roberto Demaio]

L'Indipendente non riceve alcun contributo pubblico né ospita alcuna pubblicità, quindi si sostiene esclusivamente grazie agli abbonati e alle donazioni dei lettori. Non abbiamo né vogliamo avere alcun legame con grandi aziende, multinazionali e partiti politici. E sarà sempre così perché questa è l’unica possibilità, secondo noi, per fare giornalismo libero e imparziale. Un’informazione – finalmente – senza padroni.

Ti è piaciuto questo articolo? Pensi sia importante che notizie e informazioni come queste vengano pubblicate e lette da sempre più persone? Sostieni il nostro lavoro con una donazione. Grazie.

Articoli correlati

Iscriviti a The Week
la nostra newsletter settimanale gratuita

Guarda una versione di "The Week" prima di iscriverti e valuta se può interessarti ricevere settimanalmente la nostra newsletter

Ultimi

Articoli nella stessa categoria