domenica 22 Dicembre 2024

Il grande intervallo

Nel cinema, è risaputo, quando vuoi collocare la storia in un momento speciale, dove i rapporti personali si distendono o si radicalizzano, dove è già fissato uno schema di comportamenti e una attesa di passi scontati che si possono però aprire all’imprevisto, dove appunto bisogna saper gestire le faccende ordinarie e le sorprese, allora si sceglie il tempo-spazio del Natale, come se la sceneggiatura godesse in partenza di vantaggi predisposti.

Lo stesso Stanley Kubrick non si sottrae e nella sua ultima opera, Eyes Wide Shut (1999), la sequenza iniziale – suggerita dalla fonte ispiratrice, il lungo racconto Doppio sogno di Arthur Schnitzler (1926) – è ambientata in un Natale domestico con albero, fiabe, doni, in analogia con la partenza del film su Peter Pan di Walt Disney (1953); il momento narrativo presente in Schnitzler-Kubrick si apre subito a un ballo in maschera, per indicare sia l’atmosfera della festa, sia un cambiamento, anche parziale di identità. In Peter Pan, invece, si mette in gioco la polvere di stelle, l’aiuto magico di Trilly, la fatina che giunge dal cielo, con un gioco di ombre e campanellini, anche in questo caso rendendo problematica la stabile identità, quella di Peter Pan.

C’è una speciale infanzia a Natale, un’infanzia che richiede doni, che immagina situazioni magiche, che si incanta di uno speciale tempo sospeso, dove si dovrebbero tenere in disparte le logiche ordinarie sostituendole con una familiarità e una confidenza difficile negli altri momenti dell’anno, dove l’identità di ciascuno perde i contorni di personalità e si dispone a una individuazione quasi teatrale, giocando un ruolo già scritto.

«Il tempo è la legge dell’uomo: sospenderlo significa sospendere la legge, nessuno lo può se non chi è al di sopra della legge; per questo l’irruzione del Divino nella storia sospende la legge, sospende il tempo»: così inizia la riflessione di Carlo Ossola presentata nel suo studio Sospensione del tempo (Istituto di Studi Filosofici, 1973).

Se nella visione cristiana, in quelle cosiddette secolari e in quelle agnostiche o atee, rimangono attive queste considerazioni è perché, prima delle scelte personali, prima delle adesioni sono in gioco archetipi, schemi atemporali e perenni di competenza sia culturale, sia umana, che producono un background incancellabile.

La sospensione del tempo, l’istituzione di un intervallo rivelatore che sostituisce le leggi ordinarie con quelle fissate dalle tradizioni, ci interpella sia sulle forme di una presenza corporea del sacro, quella di Gesù Cristo nella storia, sia sullo spazio che decidiamo di gestire in autonomia, senza ricorrere alle sceneggiature imposte dai poteri del consumo. Il Natale concreta un annuncio che richiede consapevolezza, che impone scelte, non automatismi, non adesioni di convenienza.

Siamo straordinariamente differenti l’uno dall’altro, l’una dall’altra, e dunque siamo votati al dialogo, all’incontro di differenti visioni ma ognuno di noi resta in attesa di verità.

Il tempo della festa può generare una tregua nei partiti presi, nelle opzioni irrinunciabili che ciascuno di noi predilige. Il tempo della festa esige una riflessione sulla nostra identità, sul nostro stare nella storia, non semplicemente nella natura.

Ma se il tempo sospeso è il tempo della tregua, vorrà dire che siamo obbligati a interrogarci e a interpellare questo tempo, perché anche la religione dei consumi, che si vuole sempre imporre, abbia i suoi agnostici, i suoi miscredenti. 

[di Gian Paolo Caprettini]

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