Ottantotto anni di carcere complessivi per 28 persone, con pene da 1 a 7 anni. Per 16 di queste, il reato contestato è grave: associazione a delinquere. Queste le richieste avanzate dai pm Manuela Pedrotta ed Emilio Gatti nell’ambito del procedimento che vede coinvolto il centro sociale torinese Askatasuna, insieme ad altre realtà cittadine. Il processo, avviato nel 2022, mira a criminalizzare una delle realtà antagoniste più radicate nel territorio. Molti dei militanti di Askatasuna coinvolti sono infatti anche membri del Movimento No TAV, realtà di resistenza tra le più tenaci e organizzate in Italia, che da decenni lotta contro la devastazione del territorio della Val di Susa dovuto alla costruzione della grande opera.
Le accuse si basano su intercettazioni raccolte tra il 2019 e il 2021, utilizzate, secondo gli attivisti, in maniera «completamente decontestualizzata». Inizialmente, la procura aveva ipotizzato il reato di associazione a delinquere con finalità eversive, uno dei più gravi del nostro ordinamento. In base a ciò, venne richiesto lo sgombero del centro sociale Askatasuna e di vari altri edifici occupati a Torino, nonchè di tutti i presidi No TAV in Val di Susa. Secondo Dana Lauriola (volto storico della lotta No TAV, imputata anche lei nel processo), l’obiettivo centrale della procura è colpire e delegittimare la lotta contro l’Alta Velocità. L’accusa iniziale fu tuttavia rigettata dal GUP (giudice dell’udienza preliminare) e successivamente riformulata in associazione a delinquere. «Sono stati comunque tenuti buoni gli elementi e l’impianto della precedente formulazione» spiega Dana Lauriola a L’Indipendente. L’inchiesta vede coinvolte 28 persone tra Torino e la Val di Susa, di età comprese tra i 20 e i 75 anni.
«La tesi della procura è che, negli anni, un gruppo ristretto di persone si sia infiltrato nel centro sociale Askatasuna e nello Spazio Popolare Neruda [spazio occupato da famiglie vittime di sfratto, ndr], oltre che in realtà sportive e altre del movimento torinese, in particolare No TAV, per commettere atti violenti», spiega Lauriola, «così, i ricavi dei panini venduti al Festival Alta Felicità organizzato dal Movimento No TAV sarebbero serviti a finanziare le finalità di questa ipotetica organizzazione criminale, mentre la raccolta di contributi che si faceva una volta al mese allo Spazio Neruda per creare una cassa comune per i lavori di ristrutturazione è diventata estorsione». Secondo la pm, Manuela Pedrotta, non vi sarebbe alcuna differenza tra la raccolta fondi effettuata dal Movimento per aiutare gli attivisti in carcere con il vitto e le spese legali (la cosiddetta “Cassa di Resistenza”) e quello che fanno le organizzazioni mafiose con i familiari dei reclusi.
Tra gli imputati, 16 si trovano ad affrontare l’accusa più grave, ovvero quella di associazione a delinquere: due in quanto ideatori della presunta associazione, sei in quanto promotori e altri 8 come partecipanti. Gli altri imputati sono accusati dei cosiddetti “reati-fine”, ovvero commessi al fine di portare avanti il disegno criminoso dell’associazione – tra questi vari falò in Val di Susa, iniziative contro le reti dei cantieri e altri reati minori. «Secondo l’accusa, io rientro tra i promotori, motivo per il quale per me hanno chiesto tre anni» riferisce Lauriola. In generale, le pene richieste vanno da un anno e sei mesi a sette anni di detenzione, per un totale di 88 anni complessivi.
«Si tratta di un’operazione dai chiari fini politici», commenta Lauriola. «In questo anno e mezzo è stato indagato il Movimento, la maniera in cui vengono prese le decisioni, i ruoli al suo interno, il modo in cui questo si sostiene e così via. Il punto è attaccare la lotta No TAV e l’esperienza radicale ma significativa dell’Askatasuna». In questo modo, si delegittimano anche le rivendicazioni del Movimento, che si oppone alla costruzione di una grande opera e alla conseguente devastazione dei territori, oltre che allo sfratto di numerose famiglie dalle proprie abitazioni.
Il processo riprenderà il 13 gennaio, quando toccherà alla difesa prendere parola. Con tutta probabilità, la sentenza potrebbe arrivare già in primavera. «Questo procedimento, a prescindere dall’esito che avrà sulle esistenze individuali degli imputati, è un qualcosa di molto importante che andrebbe davvero seguito e contestato perchè mette in discussione il diritto dei territori e della collettività di protestare. Se passa questa equivalenza per cui chi lotta e si organizza è un criminale alla stregua di un mafioso, questo precedente qui potrebbe rappresentare un problema per molte altre lotte», afferma Lauriola.
[di Valeria Casolaro]