venerdì 20 Dicembre 2024

L’esercito turco circonda Kobane e si prepara all’invasione del Kurdistan siriano

La Turchia si sta preparando ad attaccare i curdi della città di Kobane, intorno alla quale ha ammassato truppe e mezzi militari delle milizie che sostiene in Siria. Solo l’intercessione degli Stati Uniti, che sostengono i curdi, avrebbe momentaneamente fermato l’operazione che sembrava imminente. Ieri sarebbe infatti entrato in vigore un cessate il fuoco tra le parti ostili, ma è difficile valutarne la tenuta in quanto in alcune zone i combattimenti non si sono fermati. La Turchia, che considera i curdi come terroristi e che per questo ha negato ogni possibile accordo, ha già da tempo spiegato che il suo interesse è quello di creare una zona cuscinetto al proprio confine con la Siria e che non permetterà ai curdi di mantenere un’autorità politica sul territorio. In chiave anti-turca, Israele appoggia le rivendicazioni curde, mentre a sud, nel Golan occupato, espande le proprie operazioni militari e si dice favorevole ad una zona controllata al suo confine dalla comunità dei drusi.

A rivelare l’ingente presenza di truppe e mezzi di artiglieria nei pressi di Kobane dell’esercito turco e delle milizie siriane è stato il Wall Street Journal, che ha avuto modo di leggere una lettera riservata inviata da Ilham Ahmed, funzionaria dell’amministrazione civile del Rojava, all’attenzione del presidente eletto statunitense Donald Trump. Nel documento, Ahmed indica che l’obiettivo della Turchia sarebbe quello di «stabilire un controllo di fatto del nostro territorio» prima dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca. D’altronde, la stessa Turchia ha più volte dichiarato che intende creare lì una zona cuscinetto. Come riportato dalla testata libanese Al-Mayadeen, Ankara vorrebbe istituire una cintura di sicurezza larga 30 chilometri al confine con la Siria.

Ieri, 18 dicembre, grazie all’intervento statunitense, sarebbe stato raggiunto un accordo di cessate il fuoco tra le milizie islamiche e le forze curde, che hanno momentaneamente fermato l’invasione di terra. Difficile capire come e quanto durerà tale accordo. Come riportato da Reuters, un funzionario turco smentisce l’accordo per l’impossibilità di intrattenere colloqui di qualsiasi genere con soggetti considerati come terroristi. D’altronde, anche qualora l’accordo ci sia, non ha di certo impedito gli scontri armati. Le forze curde del SDF e le milizie filo-turche si sono scambiate colpi di artiglieria pesante vicino all’area di Jisr Qarquzaq. Inoltre, Al-Mayadeen riferisce che droni turchi hanno bombardato le posizioni curde delle Forze Democratiche Siriane (SDF) nel villaggio di Birkhat, nella campagna occidentale della città di Tal Abyad, e hanno anche bombardato un sito nel villaggio di Khalidiya vicino al distretto di Ain Issa, a nord di Raqqa, in concomitanza con il ritiro di un convoglio militare delle forze russe. Secondo Politico, con la mediazione del cessate il fuoco e la protezione curda, gli Stati Uniti starebbero tentando di scongiurare un’evasione di massa di combattenti dell’ISIS dalle prigioni curde. Una faccenda intricata, dal momento che gli USA hanno sostenuto e sostengono il cambio di regime in favore di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), il quale ha avuto proprio il sostegno delle milizie del vecchio Stato Islamico durante l’operazione che ha cacciato Bashar al-Assad.

Sempre ieri, il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar ha incontrato Jens Plotner, consigliere per la politica estera e la sicurezza della Germania, al quale avrebbe detto che «La comunità internazionale ha un ruolo nella protezione delle minoranze in Siria, compresa la minoranza curda che è sotto attacchi e minacce in questi giorni». Da quando il governo di al-Assad è stato rovesciato, Israele ha più volte supportato le rivendicazioni curde per una propria autorità politica delle zone che presidiano e amministrano. Chiaramente, la posizione di Israele è in chiave anti-turca, non volendo che Ankara avanzi in Siria e aumenti ancora di più il suo peso specifico sul Paese. A sud, sulle alture del Golan occupato, Israele fortifica la propria presenza e allarga le operazioni militari. Martedì 17 dicembre, il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, si è recato in visita al Monte Hermon – noto ai siriani come Jabel Sheikh – spiegando che Israele è intenzionato a stabilizzare e allargare la propria zona cuscinetto con la Siria. Inoltre, il governo israeliano sta appoggiando l’ipotesi di un’autorità della comunità drusa sui territori siriani al proprio confine. Non è esclusa la possibilità che una parte del territorio dove insistono i drusi, come la cittadina di Hader, venga direttamente annessa ad Israele.

Insomma, il destino della Siria, nel pieno del caos, sembra quello di una balcanizzazione del proprio territorio, la cui unità potrebbe mantenersi secondo una proposta curda, la quale però sembra difficilmente ricevibile da parte degli altri attori in gioco. I curdi hanno infatti proposto la costruzione di una “Nuova Siria” sulla base di una confederazione democratica che rispetti tutte le minoranze e tutte le entità adesso in campo nel Paese. Questa permetterebbe il mantenimento dell’unità nel rispetto delle differenze, accantonando l’odio e il conflitto. Una proposta che pare utopistica, visti gli interessi in gioco da parte dei soggetti, interni ed esterni, coinvolti.

[di Michele Manfrin]

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