mercoledì 25 Dicembre 2024

Scoperte sette nuove comete oscure: potrebbero spiegare la comparsa della vita sulla Terra

Hanno le stesse caratteristiche morfologiche delle comete tradizionali, ma sono “oscure” e non manifestano una coda visibile: sono i sette corpi scoperti dai ricercatori del College of Natural Science della Michigan State University, i quali ne hanno dettagliato i risultati all’interno di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). L’analisi, effettuata grazie all’osservazione di anomalie orbitali, ha raddoppiato il numero di comete oscure note e ha identificato per la prima volta due tipi distinti di questi misteriosi corpi celesti, ovvero quelle “esterne” ed “interne” al nostro Sistema solare. Si tratta di una scoperta che, secondo gli scienziati, risulta tutt’altro che indifferente in quanto tali corpi, caratterizzati dall’aspetto simile a quello di un asteroide ma da comportamenti che ricordano le comete, potrebbero rappresentare una nuova potenziale fonte di materiali, inclusa l’acqua, fondamentali per lo sviluppo della vita sulla Terra. «Uno dei motivi più importanti per cui studiamo piccoli corpi, come asteroidi e comete, è perché ci forniscono informazioni su come la materia viene trasportata nel sistema solare», ha commentato Darryl Seligman ricercatore e coautore dello studio.

Le comete sono corpi celesti composti principalmente da ghiaccio, polveri e rocce che orbitano attorno al Sole. Quando si avvicinano alla nostra stella, il calore provoca la sublimazione dei materiali volatili, creando la caratteristica coda luminosa. Le comete oscure, tuttavia, sfidano questa classificazione tradizionale: pur avendo l’aspetto di un asteroide, manifestano movimenti e accelerazioni tipiche delle comete, spesso senza formare una coda visibile. La scoperta delle comete oscure è stata resa possibile grazie all’osservazione di anomalie orbitali su oggetti apparentemente asteroidi, come il caso del 2003 RM nel 2003 e dell’oggetto interstellare ‘Oumuamua nel 2017. In questi casi, le traiettorie mostravano piccole deviazioni non spiegabili da forze gravitazionali o effetti noti, ma riconducibili al rilascio di materiali volatili. Utilizzando strutture come il Very Large Telescope dell’European Southern Observatory, il team di ricerca ha analizzato l’albedo e le orbite degli oggetti, identificando per la prima volta due popolazioni distinte di comete oscure: le comete oscure esterne, di grandi dimensioni e con orbite eccentriche, e le comete oscure interne, più piccole e con orbite quasi circolari.

Si tratta di una scoperta che, a quanto spiegato dai ricercatori, non è solo un passo in avanti nella comprensione dei corpi che vagano per il nostro Sistema solare, ma è anche un nuovo spiraglio che apre nuove prospettive sul loro ruolo nell’origine della vita sulla Terra. Le comete oscure, infatti, potrebbero aver contribuito al trasporto di acqua e altri materiali necessari per lo sviluppo della vita, anche se tale ipotesi andrà dettagliata e verificata in ulteriori ricerche. In particolare, quelle esterne potrebbero contenere ghiaccio simile a quello delle comete tradizionali, mentre le comete oscure interne, originarie della fascia degli asteroidi, sollevano interrogativi sulla loro composizione e sulla loro evoluzione: «La cosa interessante di questi oggetti è che sembrano asteroidi, ma il loro moto ricorda quello delle comete. Questo è un enigma che mette in discussione il modo in cui abbiamo sempre classificato gli oggetti, sia come asteroidi che comete», ha commentato il ricercatore e coautore Davide Farnocchia. «Quello a cui molte persone potrebbero non pensare regolarmente è che il sistema solare è un posto caotico. Non sappiamo da dove provengano le cose, ma con le 14 comete oscure di cui siamo a conoscenza e che orbitano all’interno del nostro sistema solare, ci sono finestre di opportunità nei prossimi anni per raccogliere più dati e, si spera, scoprire risposte sulla formazione del nostro pianeta», ha concluso Louise Edwards, direttrice del programma di borse di studio post-dottorato in astronomia e astrofisica della National Science Foundation non coinvolta nella ricerca.

[di Roberto Demaio]

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