Il primo ministro canadese Justin Trudeau si è dimesso lunedì dalla sua carica di governo e da quella di capo del Partito Liberale. Trudeau ha comunicato che rimarrà nelle sue funzioni fino a quando il suo partito non potrà scegliere un nuovo leader e che il parlamento sarà prorogato – o sospeso – fino al 24 marzo. Trudeau, 53 anni, uno dei maggiori rappresentanti dell’establishment progressista mondiale, sostenuto dai globalisti e da organizzazioni come il World Economic Forum, aveva dovuto affrontare richieste di dimissioni sempre più numerose giunte dal suo stesso partito. Il suo tasso di gradimento era in costante discesa dal periodo di emergenza pandemica, quando il suo governo mise in atto una dura repressione del dissenso nei confronti dei manifestanti contrari agli obblighi vaccinali, arrivando a bloccarne i conti bancari.
I legami con il WEF e la repressione in periodo pandemico
Secondo l’organizzazione canadese Angus Reid Institute, il consenso nei confronti del governo Trudeau raggiungeva a malapena il 22%, mentre il tasso di disapprovazione aveva raggiunto il 74%. Ad essere determinanti nella scelta delle dimissioni sono state le pressioni provenienti dai membri del suo stesso partito. Trudeau è stato per lungo tempo un astro nascente e cavallo di razza del progressismo globalista in quanto partecipante di spicco del World Economic Forum, nel quale è intervenuto più volte. Nel 2017, Klaus Schwab ha affermato di essere stato in grado di «penetrare» il gabinetto del primo ministro canadese, in virtù del fatto che molti dei suoi ministri erano stati un tempo membri del programma Young Global Leaders del WEF, come del resto lo stesso Trudeau. Come alfiere del globalismo neoliberista propugnato dal WEF, Trudeau si è più volte espresso in sostegno dei «valori progressisti nel contesto della globalizzazione». Trudeau era per questo un sostenitore dei grandi accordi di libero scambio e di partenariato globale, come il Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (CPTPP), di cui il Canada fa parte dal 2018 proprio grazie all’impegno di Trudeau.
Tra le decisioni politiche più controverse dei suoi anni di governo ci sono senz’altro quelle prese in epoca pandemica. Trudeau ha gestito l’emergenza in linea con i diktat dei lockdown e degli obblighi vaccinali impartiti dalle organizzazioni internazionali. Proprio nel periodo pandemico, Trudeau ha più volte fatto utilizzo del termine “reset”, mutuato dallo slogan del Grande Reset propagandato da Schwab. Nel gennaio 2022, il primo ministro canadese ha aperto la strada ad un nuovo tipo di repressione sociale, quando ha assunto poteri speciali e congelato i conti bancari dei camionisti del Freedom Convoy che paralizzarono Ottawa per protestare contro l’obbligo vaccinale, a cui si aggiunsero migliaia di cittadini in sostegno alla protesta.
Gli USA, un vicino difficile
Le dimissioni di Trudeau arrivano in un momento cruciale per la politica del Paese, specie con il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, il quale si insedierà il 20 di gennaio. Trump ha recentemente minacciato il Canada di applicare dazi del 25% alle merci esportate negli Stati Uniti. La misura verrebbe imposta a causa dell’incapacità del Paese di garantire la sicurezza delle proprie frontiere, da cui passerebbero, secondo il neoeletto presidente USA, immigrati clandestini e droghe come il Fentanyl. In un post pubblicato nel giorno di Natale sul proprio social network Truth, Trump, oltre a rivendicare la proprietà del Canale di Panama e – di fatto – la sovranità sulla Groenlandia, si era rivolto a Trudeau in maniera canzonatoria definendolo “Governatore” e aveva rivolto un appello al Canada invitandolo a diventare il 51° Stato degli Stati Uniti d’America. Proprio ieri, nel giorno delle dimissioni di Trudeau, Trump è tornato a scrivere sul suo social il medesimo appello, rincarando la dose. Molti adesso rinfacciano a Trudeau il fatto di non essersi dimesso prima, in tempo per poter affrontare il cambio di potere negli Stati Uniti, dando quindi al Canada il tempo necessario per riorganizzarsi a livello di leadership politica. Per diverse settimane, se non mesi, il Canada avrà infatti un primo ministro dimissionario, senza quindi alcuna legittimità nell’affrontare importanti questioni.
Tra coloro che hanno mosso critiche in merito alle tempistiche delle dimissioni del primo ministro canadese c’è anche David MacNaughton, che Trudeau ha nominato ambasciatore del Canada negli Stati Uniti nel 2016. «Avremo alcuni mesi di incertezza in questo momento e nel frattempo Trump si sente piuttosto presuntuoso», ha detto MacNaughton. Anche Xavier Delgado, senior program associate presso il Canada Institute del Wilson Center di Washington, ha fatto notare che le dimissioni di Trudeau lasciano il Canada e la sua economia vulnerabili a qualsiasi cosa Trump intenda imporre. «È un momento straordinario per il primo ministro per annunciare le dimissioni. Nel contesto delle relazioni Canada-USA non ha davvero molto senso», ha detto Delgado. Ricordiamo che gli scambi commerciali tra Stati Uniti e Canada ammontano a quasi 910 miliardi di dollari (nel 2022) e che i due Paesi sono i migliori partner economici l’uno dell’altro, con circa 3 miliardi di dollari (nel 2023) di beni e servizi che attraversano il confine ogni giorno.
Si interrompe così una leadership durata 9 anni, caratterizzata da vari problemi di immagine pubblica e di scarsa capacità di incidere, sebbene la scalata al potere del primo ministro prometteva di portare freschezza e rinnovamento nella direzione del Paese. Trudeau ha sofferto a causa dell’inflazione record e degli alti prezzi dei generi alimentari e del fatto che l’economia canadese non è mai veramente riuscita a riprendersi dopo la pandemia. La crisi abitativa interna, che ha visto i prezzi delle case salire anche del 30%-40% negli ultimi anni, ha aggravato il risentimento nei confronti del governo. Gli scandali politici e le gaffe del primo ministro nel corso degli anni non hanno di certo aiutato in questa sua parabola negativa nei gradimenti e nel sentimento dei cittadini canadesi.
Finisce così un’epoca di progressismo aperto sempre a tutto tranne che per coloro che lo criticano. Resta tutto da vedere cosa accadrà adesso, con il Paese che deve fare i conti con una transizione politica in un momento delicato, tanto dal punto di vista interno della crisi economica e della tensione sociale, tanto da quello esterno con il vicino ingombrante, nonché maggior partner commerciale e alleato, che sono gli Stati Uniti.
[di Michele Manfrin]
Un’ altro “progressista”, oggi sinonimo di “neo-liberista” assai simile al “nazionalsocialista”, si toglie dai piedi. Purtroppo altri (molti) sono già dietro l’ uscio. Mala tempora currunt e non grazie alla Destra bensì allo scellerato comportamento della Sinistra negli ultimi trent’anni. Ricordo a tal proposito, nella seconda metà degli anni Novanta, una frase indelebile da parte del presidente di una commissione d’esame, attivo militante nel PCI prima e nei DS poi (con importanti incarichi amministrativi nella rossa Emilia di allora) che, durante la prova scritta proclamò: il vostro peggior nemico è il vostro “compagno” di banco…
Ha ragione
In effetti il Canada è solo il rimorchio degli USA.