Nel terzo secolo a.C, le dinastie cinesi costruirono la lunghissima Grande Muraglia. Due millenni dopo, se ne sta costruendo un’altra, che non proteggerà la Cina dalle orde mongole ma, piuttosto, potrebbe alimentare l’intera città di Pechino entro il 2030. È quanto sta avvenendo nel deserto di Kubuqi, ambiente un tempo noto come il “mare di morte” per il suo paesaggio arido e privo di vita che potrebbe essere rivitalizzato grazie all’ambizioso progetto energetico ancora in corso. Il progetto è iniziato diversi anni fa ma è cresciuto a ritmi costanti e considerevoli, al punto da essere visibile dai sensori dei telescopi della NASA, che hanno immortalato il processo grazie a nuovi e recenti scatti. Finora, i funzionari cinesi hanno affermato di aver installato circa 5,4 gigawatt di potenza, i quali dovrebbero essere presto portati a quota 100 entro la fine del decennio.
Si tratta di un progetto iniziato diversi anni fa con la costruzione della Junma Solar Power Station, completata nel 2019 e famosa per la sua forma di cavallo al galoppo visibile dall’alto. L’impianto produce ogni anno circa 2 miliardi di kilowattora di elettricità, sufficienti a coprire il fabbisogno di 300.000-400.000 persone. I lavori si concentrano su una fascia di dune lunga 400 chilometri e larga 5 chilometri – le dimensioni definitive che dovrebbe raggiungere il progetto una volta completato – situata a sud del Fiume Giallo, tra le città di Baotou e Bayannur. Il proseguimento dei lavori ed il sostanziale aumento di produzione ha catturato l’attenzione anche dei satelliti della NASA, che grazie all’OLI (Operational Land Imager) e l’OLI-2 montati sui satelliti Landsat 8 e 9 hanno mostrato l’espansione degli impianti fotovoltaici dal 2017 al 2024, testimoniando il rapido avanzamento del progetto. Funzionari cinesi hanno spiegato che la scelta del deserto di Kubuqi non è casuale: è stato appositamente preferito ad altre località per il suo terreno pianeggiante e la vicinanza ai centri industriali, il che lo rende ideale per la produzione di energia solare. Inoltre, però, i progettisti hanno aggiunto che la costruzione non si dovrebbe limitare solo alla generazione di elettricità, in quanto c’è speranza che possa contrastare la desertificazione, stabilizzando le dune e rallentando i venti, e promuovere la crescita di vegetazione sotto i pannelli, grazie all’ombra che dovrebbe ridurre l’evaporazione. Tutti benefici ambientali che potrebbero avere un impatto significativo sulla biodiversità e sull’ecosistema locale.
Impossibile escludere l’idea che il progetto rappresenti uno sforzo per contrastare altre politiche ambientali tutt’altro che inattaccabili. La Cina è uno dei principali emettitori mondiali di CO2 – 15,9 miliardi di tonnellate solo nel 2021 – e circa l’80% del suo mix energetico è basato sui combustibili fossili. D’altra parte però, il paese sta investendo massicciamente sulle energie rinnovabili, diventando uno dei principali mercati a livello globale per il settore dell’energia pulita. È facile pensare, quindi, che progetti come la “grande muraglia solare” rientrino a pieno come parte integrante di questa strategia, rappresentando un passo significativo verso gli obiettivi fissati entro il 2030 e quelli di “neutralità climatica” fissati con scadenza nel 2060.
[di Roberto Demaio]
Grazie a Roberto Demaio; i suoi articoli sono quasi sempre interessanti.