mercoledì 15 Gennaio 2025

Lo Stato vuole che i No TAV paghino le spese per la repressione della Val di Susa

Quasi 7 milioni di euro. È questa l’impressionante cifra che la Presidenza del Consiglio, insieme ai Ministeri dell’Interno e della Difesa, ha richiesto come risarcimento ai 28 imputati nel maxiprocesso contro i membri del centro sociale torinese Askatasuna e il movimento No TAV. Secondo l’Avvocatura dello Stato, i 28 dovrebbero sobbarcarsi con 250.000 euro a testa il conto complessivo delle spese sostenute dalle istituzioni per fronteggiare le manifestazioni che, tra il 2020 e il 2021, hanno infiammato la Valle di Susa e, in alcune occasioni, anche la città di Torino. A dicembre, i pm avevano chiesto per gli imputati un totale di 88 anni di carcere. Tra le accuse, per molti di loro, anche quella di associazione a delinquere.

Nella memoria consegnata ieri dai legali dell’Avvocatura distrettuale al processo che sta ricostruendo le presunte responsabilità degli attivisti per alcuni scontri con le forze dell’ordine avvenuti in Piemonte si elencano costi dettagliati: 4,1 milioni solo per il ripristino dell’ordine pubblico, con 205.988 agenti schierati nel 2020 e 266.451 l’anno successivo; a questi si aggiungono 135 mila euro per straordinari, 86 mila per l’assistenza agli agenti feriti, 40 mila per i veicoli di servizio danneggiati e 3 milioni per danni non patrimoniali, come l’eco mediatica negativa e la lesione al prestigio delle istituzioni. Accanto alle richieste dello Stato, vi è poi quella di TELT, la società incaricata della costruzione del Tav Torino-Lione, che attraverso il proprio legale ha chiesto un risarcimento di 1 milione di euro per i danni subiti dai cantieri, spesso oggetto di sabotaggi e incursioni. Dal canto suo, la Procura di Torino punta il dito contro un presunto «comitato ristretto» all’interno di Askatasuna, accusato di orchestrare e dirigere le azioni violente sotto il vessillo del movimento No TAV. L’impostazione accusatoria dipinge un quadro in cui la violenza è sistematica e organizzata per destabilizzare l’ordine pubblico e acquisire consenso politico. La difesa, però, non ci sta. L’avvocato Claudio Novaro ha criticato duramente l’impianto della Procura, definendolo un «teorema accusatorio che vuole negare la politicità dell’agire degli imputati, relegando la storia dei movimenti a espressioni deliquenziali, complotti criminali e nient’altro». Un altro elemento critico è il cosiddetto “danno non patrimoniale”, che include aspetti difficilmente quantificabili, come l’impatto mediatico delle proteste e il presunto danno alla credibilità delle istituzioni. Per molti osservatori, questa parte della richiesta rischia di trasformarsi in un monito generalizzato contro chi osa protestare, legittimando un principio per cui chi manifesta deve pagare non solo per eventuali danni materiali, ma anche per i costi delle operazioni di polizia.

Lo scorso dicembre, durante la requisitoria del processo, la Procura di Torino ha chiesto condanne a ottantotto anni di carcere complessivi per 28 persone, con pene da 1 a 7 anni. Tra gli imputati, 16 si trovano ad affrontare l’accusa più grave, ovvero quella di associazione a delinquere: due in quanto ideatori della presunta associazione, sei in quanto promotori e altri 8 come partecipanti Molti dei militanti di Askatasuna coinvolti sono infatti anche membri del Movimento No TAV, realtà di resistenza tra le più tenaci e organizzate in Italia, che da decenni lotta contro la devastazione del territorio della Val di Susa dovuto alla costruzione della grande opera. Le accuse si basano su intercettazioni raccolte tra il 2019 e il 2021, utilizzate, secondo gli attivisti, in maniera «completamente decontestualizzata». Inizialmente, la Procura aveva ipotizzato il reato di associazione a delinquere con finalità eversive, uno dei più gravi del nostro ordinamento. In base a ciò, venne richiesto lo sgombero del centro sociale Askatasuna e di vari altri edifici occupati a Torino, nonchè di tutti i presidi No TAV in Val di Susa. L’accusa iniziale è stata tuttavia rigettata dal giudice dell’udienza preliminare e successivamente riformulata in associazione a delinquere.

[di Stefano Baudino]

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