venerdì 24 Gennaio 2025

La guerra politica nascosta tra Donald Trump e papa Francesco

Che il neoeletto presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e Papa Francesco abbiano visioni divergenti è cosa nota. La posizione del Papa è stata ribadita nel messaggio inviato a Trump nel giorno del suo insediamento, contenente un appello affinché «sotto la sua guida il popolo americano si sforzi sempre di costruire una società più giusta, dove non ci sia spazio per odio, discriminazione o esclusione». In ogni caso, la battaglia sotterranea tra l’amministrazione Trump e il Vaticano prosegue da mesi. Questa tensione non si manifesta tanto nelle dichiarazioni pubbliche, che restano improntate a una cordiale freddezza, come da protocollo, quanto piuttosto negli atti concreti. Negli ultimi mesi, entrambe le parti si sono impegnate in manovre strategiche per cercare di influire nella sfera dell’altro, spesso attraverso la nomina di rappresentanti considerati scomodi per la controparte. Una battaglia che si consuma non solo sulle questioni relative ai migranti, ma su molteplici dossier, tra cui le politiche ambientali, i rapporti con la Cina e quelli con Israele.

Lo scorso dicembre, Trump ha nominato Brian Burch, cattolico devoto alle posizioni tradizionaliste, come nuovo ambasciatore presso la Santa Sede. Poco dopo, è arrivata la risposta di Papa Francesco, che ha scelto il cardinale Robert McElroy, fermo oppositore di Trump, come nuovo arcivescovo di Washington. Burch e McElroy rappresentano due visioni del cattolicesimo agli antipodi: entrambi sono strettamente legati alle posizioni di coloro che li hanno nominati e critici dei vertici degli Stati in cui opereranno. La scelta di due figure così chiaramente schierate sembra preannunciare futuri rapporti incerti tra l’amministrazione americana e il Vaticano.

Burch è stato definito da Trump come un «cattolico devoto». È un uomo dalle posizioni tradizionaliste, spesso in conflitto con quelle papali, e, secondo molti, più vicino alle idee di Carlo Maria Viganò, uno dei più accesi critici di Papa Francesco, recentemente scomunicato. Alcuni osservatori ritengono che la nomina di Burch costituisca una sorta di monito a Bergoglio. Burch ha più volte criticato Papa Francesco, in particolare per la sua apertura nei confronti delle coppie omosessuali e per il suo approccio, da lui definito «vendicativo», nella gestione delle controversie interne alla Chiesa. Inoltre, non ha risparmiato accuse ai sostenitori del Pontefice, descrivendoli come «cheerleader progressisti».

Di posizioni tradizionaliste e fortemente critiche verso il pontefice – tanto da definirlo «falso papa» – Viganò è stato scomunicato il 5 luglio 2024, dopo essere stato riconosciuto colpevole del delitto canonico di scisma. Il provvedimento è stato motivato dal suo «rifiuto di riconoscere e sottomettersi al Sommo Pontefice, dalla mancanza di comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti e dalla negazione della legittimità e dell’autorità magisteriale del Concilio Ecumenico Vaticano II». Dopo la scomunica, Viganò ha ricevuto il sostegno di Burch, che ha dichiarato: «Viganò potrebbe non avere ragione su tutto, ma c’è una cosa di cui sono certo: Satana è reale ed è in agguato». Viganò, da sempre sostenitore di Trump, ha inoltre espresso più volte dure critiche nei confronti di Kamala Harris, definendo i suoi sostenitori «criminali psicopatici dediti al culto di Satana».

Di fronte alla nomina di Burch e al sostegno di Viganò, Papa Francesco non è rimasto a guardare. Il 6 gennaio, infatti, il pontefice ha nominato il cardinale Robert McElroy, di posizioni apertamente progressiste, come nuovo arcivescovo di Washington. McElroy è un convinto difensore dei migranti in chiave anti-razzista, un fervido sostenitore delle linee papali sulle coppie omosessuali e divorziate, e un deciso critico della prima amministrazione di Donald Trump. Egli prende il posto di Wilton Daniel Gregory, primo cardinale afroamericano negli Stati Uniti, dimessosi per raggiunti limiti di età. Durante il primo mandato di Trump, McElroy si è opposto apertamente alle politiche del presidente, in particolare sulla gestione della migrazione, esortando i cattolici a protestare contro di esse. In occasione di una visita di Trump per ispezionare i prototipi del muro con il Messico, McElroy dichiarò: «È un giorno triste per il nostro Paese quando scambiamo il simbolismo maestoso e pieno di speranza della Statua della Libertà con un muro inefficace e grottesco, che mostra e infiamma le divisioni etniche e culturali che a lungo hanno fatto parte della nostra storia nazionale».

Questa serie di nomine incrociate sembra inaugurare una nuova stagione di tensione tra la casa bianca e il vaticano. Durante il primo mandato presidenziale, Bergoglio e Trump hanno vissuto diversi momenti di confronto e attrito su questioni politiche e sociali. Il pontefice ha più volte criticato le politiche migratorie statunitensi e il progetto di costruire un muro al confine con il Messico, dichiarando che «chi costruisce muri invece di ponti non è cristiano». Inoltre, Papa Francesco ha condannato il ritiro degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi sul clima e ha espresso preoccupazione per lo spostamento dell’ambasciata statunitense in Israele a Gerusalemme. Dal canto suo, Trump ha sempre guardato con sospetto il tentativo di distensione nei rapporti con la Cina promosso da Bergoglio, culminato il 22 settembre 2018 nella firma di un patto, recentemente rinnovato per la terza volta, per la riconciliazione pastorale con Pechino. Questo accordo ha suscitato critiche da parte dell’amministrazione Trump, che percepisce Pechino come un rivale strategico. Per quanto riguarda i rapporti con la Cina e le possibili reazioni statunitensi, il Papa non si è ancora espresso pubblicamente sulla vittoria di Trump. Tuttavia, le parole del Segretario di Stato del Vaticano, Pietro Parolin, sono state chiare: la Santa Sede confermerà la sua linea «al di là delle reazioni che possano venire anche dall’America».

[di Dario Lucisano]

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