Arriva un nuovo ostacolo per il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina. Il TAR del Lazio ha infatti accolto il ricorso dei comuni di Reggio Calabria e Villa San Giovanni – i quali avevano contestato che i loro pareri non fossero stati considerati nel processo decisionale – contro l’ok del Ministero dell’Ambiente all’opera. Ai Comuni sarà dunque consentito di presentare nuovi documenti sui possibili impatti ambientali del Ponte sullo Stretto. Il Ministero dei Trasporti e la società Stretto di Messina avevano chiesto l’inammissibilità del ricorso, ma il TAR ha deciso di esaminarlo nel merito. L’udienza è stata dunque rinviata a data da destinarsi, ritardando ulteriormente l’inizio dei lavori.
Il ricorso verte su due elementi chiave: il parere positivo, seppur con 62 prescrizioni, della Commissione tecnico-scientifica per la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), e il verbale conclusivo della Conferenza di servizi, svoltasi presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Mit). L’avvocato Daniele Granara, legale delle due amministrazioni, ha spiegato che è stato necessario integrare il ricorso principale con motivi aggiuntivi, impugnando i provvedimenti emessi il 23 dicembre scorso dalla Direzione generale per lo sviluppo del territorio del Ministero dei Trasporti. Secondo Granara, infatti, tali atti presentano criticità «sia dal punto di vista formale che sostanziale», compromettendo la legittimità dell’intero progetto. In una nota, i sindaci di Villa San Giovanni e Reggio Calabria hanno ribadito la loro «ferma opposizione nei confronti di un progetto e di una procedura illegittimi», nonché «inutili e dannosi per le realtà territoriali coinvolte». Nonostante il parere VIA abbia dato l’ok al progetto, i ricorrenti sostengono che la decisione sia stata viziata da forzature procedurali. La Conferenza di servizi avrebbe dovuto fungere da momento cruciale per raccogliere le istanze locali, ma, secondo gli amministratori calabresi, molte informazioni fondamentali non sarebbero state condivise. Da qui la richiesta di un approfondimento giudiziario, mirato a chiarire se le procedure siano state condotte nel rispetto delle normative vigenti. Sul fronte opposto, il Mit e la società Stretto di Messina hanno negato qualsiasi irregolarità. Pietro Ciucci, amministratore delegato della società, ha dichiarato che la rinuncia alla fase cautelare da parte dei ricorrenti conferma l’assenza di urgenza nel ricorso. «La Conferenza di servizi istruttori si è svolta seguendo un iter conforme alle disposizioni di legge – ha affermato Ciucci -. Tutti i documenti sono stati resi disponibili nei tempi e nei modi previsti».
Il progetto del Ponte sullo Stretto continua così a dividere. I sostenitori lo vedono come un volano per lo sviluppo del Mezzogiorno e il potenziamento delle infrastrutture nazionali. Gli oppositori sollevano invece dubbi sulla sostenibilità economica e ambientale dell’opera, definendola una priorità mal posta rispetto a problemi infrastrutturali più urgenti, come il miglioramento della rete ferroviaria. La scorsa settimana, il Tribunale di Roma aveva respinto la class action di 104 cittadini contro la realizzazione del Ponte sullo Stretto, dichiarandola inammissibile e imponendo il pagamento di quasi 300mila euro di spese legali ai ricorrenti. Questi ultimi contestavano alla Società Stretto di Messina la violazione di diligenza, correttezza e buona fede nel portare avanti il progetto, ritenuto privo di interesse strategico e non fattibile a livello ambientale, strutturale ed economico. I giudici hanno stabilito che l’azione non è giustificata, poiché non esisterebbero danni ambientali evidenti e la società starebbe agendo secondo la legge. Sono però ancora pendenti altri ricorsi contro l’opera. Oltre a quello dei comuni di Reggio Calabria e Villa San Giovanni, su cui si esprimerà il TAR, c’è anche quello presentato congiuntamente da Legambiente, Lipu e WWF, che sarà esaminato con procedura ordinaria.
[di Stefano Baudino]
Tra l’altro c’e’ anche la beffa. Se non ricordo male nel finanziamento del progetto le regioni Calabria e Sicilia avrebbero dovuto contribuire per diversi miliardi. Che evidentemente sarebbero stati sottratti dalle spese sociali e per infrastrutture locali.