Chi aveva il compito di ricercare i trafficanti di migranti «per tutto il globo terracqueo» non si è apparentemente accorto che proprio uno di questi si nascondeva in casa sua. E quando finalmente è stato messo in manette, l’arresto è durato appena 24 ore. Colpa di un errore procedurale dei pm, pare. Il fatto è che Najeem Osema Almasri Habish, conosciuto semplicemente come Almasri, arrestato dalle autorità italiane e rilasciato subito dopo, è anche un personaggio di alto profilo, ricercato niente meno che dalla Corte Penale Internazionale: membro dell’Apparato di Deterrenza per il Contrasto al Crimine Organizzato (DACTO), organizzazione libica accusata di indicibili crimini contro i migranti e la popolazione civile, dal 2021 dirigeva l’Istituto di Riforma e Riabilitazione della polizia giudiziaria di Tripoli, con l’incarico di supervisionare le prigioni quali quelle di Mitiga, Jdeida, Ruwaimi e Ain Zara.
Almasri, soprannominato «il torturatore di Tripoli» dalle organizzazioni che investigano la situazione dei migranti in Libia, si trovava a Torino quando, su segnalazione dell’Interpol, è stato arrestato dalle forze dell’ordine italiane. Su di lui pendeva un ordine di arresto segreto (ovvero della cui esistenza vengono informate solamente le autorità) della Corte Penale Internazionale (CPI). Il generale è accusato di crimini di guerra e contro l’umanità, principalemente per quanto accade all’interno delle prigioni libiche – realtà messa nero su bianco dalle testimonianze di coloro che vi sono sopravvissuti, da anni a questa parte. La DACTO, in particolare, è oggetto di numerose indagini internazionali per le violenze commesse tanto contro i migranti quanto contro la società civile libica. Nel 2023, ha preso parte agli scontri tra le milizie che hanno avuto luogo nei quartieri residenziali di Tripoli, culminati con l’uccisione di 45 persone e il ferimento di 164 civili. Nei centri di detenzione sotto il suo controllo sono decine i migranti che hanno perso la vita o sono scomparsi, sequestrati dalle “autorità” senza che se ne sia più saputo nulla. Alla base della scarcerazione di Almasri ci sarebbero, secondo quanto riferito dalla Corte d’Appello, delle procedure non corrette, che avrebbero a che vedere con la mancata comunicazione del prossimo arresto al ministro della Giustizia Nordio, incaricato dei rapporti con la CPI.
Nonostante l’evidenza di quanto accade in Libia sia oggetto di numerosi processi e indagini internazionali, l’Italia ha negli anni siglato rapporti di collaborazione sempre più stretti con il Paese nordafricano. Nel 2017 (lo stesso anno in cui le torture nei lager libici divenivano realtà processuale nel nostro Paese, con la condanna del Triunale di Milano di Osman Matammud, aguzzino accusato di sequestro di persona, omicidi e stupri nel centro di detenzione di Sabrata), mentre la Libia si trovava ancora nel caos post-Gheddafi, l’allora primo ministro Gentiloni siglò un Memorandum d’Intesa con Tripoli. Il rinnovo di tale Memorandum è stato uno dei primi atti del governo Meloni, insediatosi nel 2022. L’obiettivo principale era e rimane il controllo della migrazione, tramite l’addestramento di personale per la formazione di una “guardia costiera libica” (composta per lo più da membri delle ex milizie) e il rifornimento di mezzi e supporto di vario genere, con un esborso da parte del nostro Paese di milioni di euro. Il tutto si è presto tradotto nell’aumento delle violenze da parte delle “autorità” libiche contro chiunque cerchi di lasciare le coste nordafricane verso l’Europa.
I rapporti tra i due Paesi sono buoni quanto basta perchè l’Italia sia stato l’unico Stato europeo a riprendere, pochi giorni fa, i collegamenti aerei con Tripoli. E il modello libico funziona talmente bene che Roma lo sta riproducendo anche con la Tunisia. Nel frattempo, i «torturatori» del partner italiano trovano rifugio sicuro nel nostro Paese.
[di Valeria Casolaro]
Vi ricordo che la Libia NON RICONOSCE la CPI così come non la riconoscono USA,Russia e Israele. La questione NON è diversa da Netanyhau. E per me è sbagliato che un cittadino di un Paese che NON riconosce la CPI venga arrestato solo perchè si trova in un Paese che riconosce la CPI. Una volta in Italia si potevano arrestare solo persone che hanno commesso reati sul suolo ITALICO e non altrove,ovvero a condizione di reciprocità solo se l’arresto lo richiede per un suo cittadino un altro Stato per reati di quel cittadino commessi nel suo Stato.
I dirimpettai non si toccano. Se poi hanno gas e petrolio a maggior ragione…