JENIN, CISGIORDANIA OCCUPATA – Al secondo giorno di assedio israeliano, la città è deserta. Le strade sono vuote, le case e i negozi serrati. Jenin sembra una città fantasma. I soli rumori che rompono questo silenzio assordante sono quelli della guerra: il costante ronzio dei tre droni che sorvolano incessantemente la città, assieme al fischio di proiettili ed esplosioni più rade che arrivano dal campo profughi, ormai sotto assedio in corso da quasi due giorni. L’Operazione Muro di Ferro ha già mietuto 12 vittime, quasi tutti civili uccisi dai cecchini israeliani nelle prime ore dell’incursione. Come Ahmed Shayeb Obeidi, ucciso mentre tornava a casa in macchina con sua moglie e i tre figli. Un video diventato virale mostra i suoi ultimi istanti di vita. Un altro video mostra un anziano che cammina mentre due proiettili lo mancano di pochi centimetri. Dall’inizio dell’operazione, i militari hanno voluto terrorizzare la popolazione per costringerla a chiudersi in casa, sparando contro i passanti, e spingere gli abitanti del campo profughi ad abbandonarlo. Ieri, infatti, i soldati hanno chiamato i residenti del campo attraverso altoparlanti per convincerli ad abbandonare le proprie case, annunciando anche un coprifuoco totale del campo profughi fino a lunedì 27 gennaio.
«Non si era mai visto un intervento così massiccio», dichiara F., una giornalista di Jenin a L’Indipendente. «Di solito si contano 3-4 bulldozer, più jeep e furgoni militari. Oggi sono almeno 8». Davanti a noi, la schiera di mezzi corazzati fa impressione. Alcune jeep hanno mitra telecomandati montati sul tetto e le punte metalliche con cui aprono l’asfalto sono ben visibili sul retro dei D9. I militari sembrano divertirsi a disturbare il lavoro di noi giornalisti riuniti a documentarne le azioni, minacciandoci con le pale dei bulldozer con cui si avvicinano ripetutamente.
La gente ha paura: sono almeno 600 le persone che hanno abbandonato il campo, mentre i bulldozer israeliani hanno distrutto altre strade dentro la città e nel perimetro del campo profughi già devastato. L’area infatti è quasi «inabitabile», ha dichiarato Roland Friedrich, direttore di UNRWA. A causa delle ripetute operazioni di sabotaggio delle infrastrutture e di un assedio che ormai dura quasi ininterrottamente da inizio dicembre, quasi 2000 famiglie sono state sfollate in un mese e mezzo. Anche il sistema elettrico è stato nuovamente attaccato e una parte del campo si trova senza luce. Numerosi gli arresti: a pochi giorni dal rilascio dei 90 prigionieri, molti dei quali minorenni, sembra che Tel Aviv voglia riempire velocemente i posti appena lasciati vacanti. Oltre giovani uomini, anche alcune madri e parenti di martiri delle Brigate Jenin sono state arrestate dai militari d’Israele e pare che anche la polizia dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) si stia impegnando in una campagna di detenzioni. Alcuni video mostrano membri dell’Autorità Palestinese inseguire fuori dall’ospedale Al-Razi giovani forse appartenenti alle forze di resistenza, i cui gruppi denunciano tentativi di arresto – con conseguenti scontri – anche all’interno dell’ospedale da parte di poliziotti palestinesi in borghese. Nei pressi della struttura un ragazzino è stato ferito gravemente da un proiettile in testa: secondo Quds News, è stato sparato da soldati dell’ANP.
«Stiamo ricevendo molte chiamate dall’interno del campo», dichiara A. M., alla guida di una delle molte ambulanze che continuano a sfrecciarci davanti. «Molte famiglie. Ma non è possibile andare dentro il campo profughi, non possiamo raggiungerli». Gli ospedali di Al-Amal e l’ospedale governativo di Jenin sono al di là della linea invisibile che non possiamo attraversare, stretti nell’assedio israeliano. Varie jeep militari sono stazionate in mezzo alla strada e bloccano anche le ambulanze, costringendole a fermarsi e ad aprire le porte per effettuare controlli. Ma non possono comunque andare molto più in là, a causa delle strade distrutte e degli impedimenti dei militari. Gli stessi ospedali sono diventati una prigione per centinaia di persone che si sono ritrovate bloccate al loro interno quando è iniziato l’attacco. «La situazione dentro l’ospedale è molto pesante», dice una donna appena uscita dall’istituto con il marito malato. «Siamo rimasti bloccati più di 24 ore, senza cibo, nemmeno il pane… ci sono molti pazienti dentro la struttura, qualcuno è riuscito a uscire, molti sono ancora lì,» dice. Il primo giorno, forse dopo che anche tre dottori e due infermiere erano state ferite dai cecchini, in pochi hanno osato uscire per strada. Nel pomeriggio di ieri, invece, l’esercito ha detto alle persone di evacuare la struttura e in molti hanno iniziato a tornare a casa. Sono comunque numerosi i pazienti che hanno bisogno di cure che sono obbligati a restare. «Non c’è sicurezza dentro l’ospedale», dichiara il dottor Al Daqa, il figlio in braccio, mentre si allontana dalla struttura. «I bulldozer, l’esercito ci ha circondato. I cecchini sparavano intorno a noi… Non c’è sicurezza per trattare i pazienti. Alcuni di noi devono lasciare la struttura e altri stanno cercando di entrarci per continuare a seguire i pazienti».
Dopo aver ripetutamente bombardato una casa e assediato almeno un’altra, nella notte violenti scontri sono scoppiati anche a Burquin, ad ovest di Jenin, in una operazione guidata dallo Shin Bet che ha portato alla morte di due altri palestinesi, portando a 12 il numero totale delle vittime. Scontri anche nel villaggio di Fahma. La campagna di arresti e violenze infatti non è limitata al campo profughi della città, ma – secondo le dichiarazioni dei ministri di Tel Aviv – il campo di Jenin non è che l’inizio di una operazione su vasta scala che coinvolgerà tutta il Nord della Cisgiordania.
[testo e immagini di Moira Amargi, inviata in Palestina]