Tra le forti pressioni a ricominciare le aggressioni, Netanyahu sta iniziando a muovere i primi passi per discutere della seconda fase del cessate il fuoco in Palestina, che prevederebbe una interruzione permanente delle ostilità, il ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia e lo scambio dei restanti ostaggi. Ieri, domenica 2 febbraio, il primo ministro israeliano è partito alla volta di Washington per incontrare il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e i suoi funzionari, in quello che risulta il primo ricevimento di Trump da presidente con un leader estero. Nel frattempo, il primo ministro del Qatar ha lanciato un appello per iniziare i colloqui per la seconda fase della tregua, ma Netanyahu sembra intenzionato ad aspettare di parlare con l’alleato americano prima di attivare la propria squadra di negoziatori. Qualche giorno prima, lo stesso Trump ha lanciato la sua personale soluzione alle ostilità: «ripulire» Gaza dai palestinesi, chiedendo a Egitto e Giordania di accogliere la popolazione della Striscia. Le dichiarazioni di Trump hanno scatenato le critiche dei maggiori Paesi arabi che hanno espresso il loro «sostegno al rispetto dei diritti legittimi del popolo palestinese ai sensi del diritto internazionale».
I colloqui per la seconda fase del cessate il fuoco a Gaza dovevano iniziare oggi, ma non è ancora certo che entro la fine della giornata venga aperto un vero e proprio tavolo delle trattative. Ieri Netanyahu è atterrato a Washington e ha iniziato i suoi primi incontri formali con i funzionari statunitensi; in precedenza, ha parlato con l’inviato di Trump nel Medio Oriente, Steve Witkoff, concordando con lui che i negoziati sarebbero iniziati dopo l’incontro dei due leader a Washington. Non sembra essere insomma ancora stata fissata una data per l’inizio dei colloqui formali tra i mediatori e le delegazioni di Hamas e Israele, che dovranno svolgersi entro i prossimi ventisei giorni. È proprio per questo che il primo ministro del Qatar ha ricordato alle controparti di muoversi per rispettare la tabella di marcia prevista dagli accordi, esortando Israele e Hamas a avviare le trattative. Nonostante ciò, sembra che Hamas non sia stato chiamato in causa da nessuno, eccetto il primo ministro qatariota.
L’incontro con Trump segnerà certamente una svolta nei futuri colloqui per la pace. Circa una settimana fa, il presidente ha avanzato la sua proposta di risoluzione che consiste nel deportare la popolazione palestinese nelle vicine nazioni arabe: «Mi piacerebbe che l’Egitto e la Giordania accogliessero più persone», ha dichiarato il presidente; «Stiamo parlando di circa un milione e mezzo di persone, basta semplicemente ripulire tutto». Come prevedibile, la dichiarazione ha scatenato una reazione di sdegno da parte delle nazioni arabe, che insieme all’Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Organizzazione per la Liberazione della Palestina e alla Lega degli Stati arabi hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui rimarcano il diritto dei palestinesi a una terra ed esprimono il loro «rifiuto di qualsiasi violazione di questi diritti inalienabili, sia attraverso attività di insediamento, espulsione e demolizione di case, annessione di terre o sfollamento di palestinesi dalle loro terre». Nella dichiarazione, i Paesi sottolineano inoltre «la necessità di consentire all’Autorità Palestinese di riprendere le proprie responsabilità a Gaza come parte dei territori palestinesi occupati, insieme alla Cisgiordania e a Gerusalemme Est», aprendo a un possibile futuro della Striscia a guida ANP. Anche in questo caso, Hamas non sembra essere stato menzionato o interpellato.
Le dichiarazioni di Trump sono in linea con le pressioni che Netanyahu sembra stare subendo sempre di più da parte dei propri alleati governativi, visto che il piano di deportare in massa i palestinesi nei vicini Paesi arabi è sempre piaciuto all’ultradestra israeliana. Tra dimissioni e minacce di abbandonare il governo, inoltre, sono tanti coloro che chiedono al primo ministro israeliano di riprendere gli attacchi, primo fra tutti Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze e leader del Partito Sionista Religioso. Probabilmente è anche per questo motivo che, almeno nelle dichiarazioni, Netanyahu sembra stare cercando di tenere il proverbiale piede in due scarpe. Da una parte, il premier sta continuando a lodare il funzionamento della tregua, mentre dall’altra continua a portare avanti una propaganda bellicista sottolineando a più riprese che Israele intende «raggiungere tutti i suoi obiettivi», inclusa la «vittoria contro Hamas», e che se i colloqui per la seconda fase non dovessero andare a buon fine riprenderà a bombardare. Queste pressioni stanno venendo alimentate dalle immagini di Hamas a ogni liberazione di ostaggi, che continua a mostrarsi come una presenza numerosa, forte e armata.
Il cessate il fuoco tra Israele e Hamas è entrato in vigore domenica 19 gennaio 2025. L’accordo prevede un piano a tre fasi che vanno da una cessazione temporanea delle ostilità alla elaborazione di un piano di ricostruzione per Gaza, passando per una fine completa della guerra. La seconda fase, in particolare, sarebbe dovuta iniziare a essere discussa oggi, e dovrebbe iniziare dopo il quarantaduesimo giorno dall’entrata in vigore dell’accordo. Essa, infatti, non è ancora stata delineata nei suoi dettagli e contiene i punti più critici che hanno tenuto per mesi i negoziati in stallo. In cima a tale lista compare il ritiro completo delle truppe israeliane dalla Striscia, compresi i corridoi di Netzarim – che divide il Governatorato di Nord Gaza dal resto della Striscia – e di Philadelphi – che separa il sud dall’Egitto.
[di Dario Lucisano]
Criminale di guerra, quando sarà finalmente arrestato e fucilato???