Nella notte tra martedì 4 e mercoledì 5 febbraio, i comitati per la preservazione dell’Appennino umbro-marchigiano hanno trasmesso a tutti i Sindaci della Regione Marche, Presidenti del Consiglio, Gruppi Consiliari, alle Unioni montane, alle Province e alla Regione Marche, nonché al CAL (consiglio delle Autonomie Locali delle Marche) un ulteriore appello per fermare «l’invasione dell’eolico industriale nei crinali dell’Appennino umbro marchigiano». Nella lettera, la seconda negli ultimi mesi, gli attivisti marchigiani presentano tutte le richieste per progetti eolici pervenuti alla Regione e le loro problematicità, offrendo soluzioni e alternative contro la «speculazione». I comitati, di preciso, propongono di puntare maggiormente sulla creazione di comunità energetiche, e di arginare la proliferazione di impianti eolici attraverso appositi interventi normativi, come la designazione del versante appenninico umbro-marchigiano come “area non idonea”.
La Regione Marche è interessata direttamente e indirettamente da 21 progetti per la realizzazione di circa 188 pale eoliche alte fino a 200 metri. Di preciso, almeno 98 delle pale dovrebbero venire realizzate sui crinali dei monti nei Comuni marchigiani di Carpegna, Borgo Pace, Mercatello sul Metauro, Apecchio, Pergola, San Lorenzo in Campo (PU), Sassoferrato, Fabriano (AN), San Severino Marche, Serrapetrona, Caldarola, Camerino, Pieve Torina, Monte Cavallo e Serravalle di Chienti (MC). A queste se ne aggiungono altre 56 alte dai 180 ai 200 metri nella dorsale appenninica umbra (nei Comuni di Foligno, Trevi, Sellano, Valtopina, Nocera Umbra e Gualdo Tadino – PG), e altre 34 in quella toscana (Badia Tedalda, Sestino – AR), tutte al confine con le Marche. «Considerando che la lunghezza di tutti i confini regionali tra le Marche e le Regioni confinanti corrisponde a circa 288 Km», ci spiega un rappresentante dei comitati, «se volessimo azzardare una stima indicativa della distribuzione delle pale nel nostro territorio regionale, qualora tutti i progetti citati venissero approvati, nei crinali del nostro Appennino ci ritroveremo un aerogeneratore ogni 1,53 km».
Molti dei progetti, violerebbero uno dei principi fondamentali che sta alla base della loro stessa costruzione: quello di «non recare danno significativo all’ambiente» e al paesaggio. Gli impianti, ci spiega l’attivista, sono finanziati dai fondi stanziati dalle normative europee per la transizione verde. Quelle medesime normative, tuttavia, impongono che essi siano compatibili con il conseguimento degli obiettivi di mitigazione, adattamento e riduzione degli impatti e dei rischi ambientali: se le aziende propongono «interventi invasivi in aree fragili dal punto di vista idrogeologico, per giunta in una regione in cui gli eventi climatici sono sempre più estremi, come nel caso delle alluvioni del 2014 e del 2022», è evidente che i risultati finiscano per essere «distruttivi». Il “principio di mitigazione” è garantito infatti dalla presenza delle «stesse aree che verrebbero depauperate dalla realizzazione degli impianti».
Sulla stessa linea di paradosso, sottolinea il rappresentante, alcuni dei progetti finirebbero per violare il Piano paesaggistico ambientale regionale delle Marche e la stessa normativa europea che impone l’ampliamento delle aree protette terrestri fino a raggiungere il 30% del territorio nazionale. «Ciò comporta per la Regione Marche l’obbligo di raddoppiare la superficie protetta, che dovrà passare dall’attuale 18% circa ad almeno il 30% del territorio regionale», specifica l’attivista. Tra i progetti che finirebbero per remare contro la legge sul ripristino della natura, figura infatti il progetto eolico Industriale denominato “Monte Miesola”, in provincia di Ancona (nel crinale appenninico compreso tra i Comuni di Sassoferrato e Fabriano), che verrebbe collocato proprio in un’area candidata a diventare protetta sin dal 1989.
All’appello, i comitati allegano delle proposte che avevano precedentemente inviato alle amministrazioni marchigiane: in primo luogo propongono di rafforzare l’impianto normativo per tutelare l’area appenninica umbro-marchigiana, nominando il versante appenninico area non idonea, individuando nuove aree naturali protette e facendo «ampio ricorso delle fasce di rispetto che individuano le aree ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela». La normativa italiana prevede infatti che le aree naturali, culturali, paesaggistiche, “che si distinguono per la loro non comune bellezza” vengano automaticamente considerate non idonee, e che non possano venire costruiti maxi-impianti come quelli previsti nei pressi di esse per un raggio compreso tra i 3 e i 7 km. La seconda proposta è quella di seguire l’analisi della coalizione TESS contro la speculazione energetica. Essa, fondandosi sui dati ufficiali dell’Ispra, individua una superficie compresa tra i «757 e 989 chilometri quadrati» di siti edificati su cui montare impianti fotovoltaici, che produrrebbero fra 70 e 92 GW di energia, tali da «coprire l’aumento di energia rinnovabile complessiva previsto dal PNIEC al 2030». Tutto questo è necessario, «perché gli impianti per la produzione di energia rinnovabile devono salvaguardare i suoli agricoli coltivabili, le aree verdi ricche di biodiversità e le montagne, che con il loro suolo vergine e i loro boschi sono fonte di quei servizi ecosistemici essenziali per la vita e per la lotta al cambiamento climatico».
[di Dario Lucisano]