sabato 22 Febbraio 2025

Il telescopio James Webb ha immortalato la nascita di un sistema planetario in formazione

Il telescopio spaziale James Webb si è nuovamente confermato uno strumento fondamentale per la ricerca astronomica e, questa volta, lo ha fatto mostrando agli scienziati un’opportunità unica nello studio della formazione planetaria: è quanto scoperto nel sistema PDS 70, formato da una giovane stella circondata da un disco di gas e polvere in cui si stanno formando due pianeti, chiamati PDS 70 b e PDS 70 c. I risultati sono stati ottenuti da un team guidato dalla dottoranda Dori Blakely dell’Università di Victoria, il quale ha dettagliato le nuove evidenze all’interno di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica The Astronomical Journal. Sfruttando la precisione del telescopio Webb ed un’innovativa tecnica chiamata Aperture Masking Interferometry (AMI), gli scienziati hanno scoperto che i due pianeti stanno ancora crescendo raccogliendo materiale dal disco protoplanetario, e il tutto con la presenza di particolari strutture che potrebbero favorire la formazione di lune simili a quelle osservate attorno a Giove e Saturno: «È come vedere una foto di famiglia del nostro Sistema Solare quando era solo un bambino», commentano gli autori, sottolineando che la scoperta potrebbe insegnare agli scienziati come i sistemi planetari, come il nostro, nascono e si sviluppano.

Non bastavano galassie da record, fusioni di buchi neri e pianeti bollenti capaci di squarciare a metà la comunità scientifica, evidentemente, per fermare la scia di scoperte effettuate grazie al telescopio James Webb (JSWT), strumento per l’astronomia a raggi infrarossi lanciato a dicembre del 2021 grazie ad una collaborazione NASA, ESA e CSA. Questa volta, come riporta lo studio recentemente pubblicato su The Astronomical Journal, è toccato ad un sistema ancora in formazione, chiamato PDS 70: un insieme di corpi celesti considerato un “laboratorio naturale” per comprendere come si sviluppano i pianeti giganti. La scoperta, come spiegato dagli autori, è avvenuta sfruttando la capacità del JSWT di misurare la luce infrarossa in combinazione con una innovativa tecnica chiamata Aperture Masking Interferometry, le quali hanno consentito di ottenere immagini con una risoluzione “senza precedenti” capaci di dettagliare con maggiore precisione il processo di formazione planetaria. Usare questa tecnica innovativa «è come abbassare i riflettori accecanti di una giovane stella in modo da poter vedere i dettagli di ciò che la circonda, in questo caso i pianeti», ha spiegato Prof. René Doyon, Direttore del Trottier Institute for Research on Exoplanets e coautore della ricerca.

Rappresentazione artistica della stella e del suo disco protoplanetario. Credit: NASA, ESA, CSA, Joseph Olmsted (STScI)

In particolare, è stato scoperto che i due pianeti stanno attirando materiale dal disco «proprio come bambini che afferrano i mattoncini per costruire una torre», accumulando gas e competendo con la stella ospite per il materiale del disco. Si tratta di osservazioni che, come spiegato dagli autori, supportano l’idea che i pianeti giganti si formino principalmente estraendo gradualmente massa dal gas e dalla polvere che li circonda e ciò, potenzialmente, potrebbe aiutare a capire come Giove e Saturno potrebbero essersi formati nel nostro sistema solare. Inoltre, i dati hanno suggerito che i due corpi celesti potrebbero avere anelli chiamati “dischi circumplanetari” che potrebbero ospitare la formazione di lune simili a quelle più vicine alla Terra. Infine, è stato scoperto un potenziale terzo oggetto situato all’interno di una lacuna del disco protoplanetario, definito da una debole emissione luminosa la cui natura è ancora incerta. Potrebbe trattarsi di un braccio di polvere e gas in movimento o di un altro pianeta in fase di formazione, ma l’enigma andrà chiarito grazie ad ulteriori osservazioni future.

Quel che rimane certo, per ora, è che gli scienziati siano convinti che il nuovo studio rappresenti un passo in avanti fondamentale nella comprensione dei meccanismi che regolano la nascita e l’evoluzione dei pianeti, in quanto offrirebbe una visione diretta di processi che, miliardi di anni fa, potrebbero aver plasmato anche il nostro Sistema Solare: «Queste osservazioni ci danno un’incredibile opportunità di assistere alla formazione dei pianeti mentre avviene. Vedere i pianeti nell’atto di accumulare materiale ci aiuta a rispondere a domande di vecchia data su come si formano ed evolvono i sistemi planetari. È come guardare un sistema solare che si costruisce davanti ai nostri occhi», ha commentato Doug Johnstone, responsabile della ricerca presso il Centro di ricerca astronomica e astrofisica Herzberg del Consiglio nazionale delle ricerche del Canada e coautore dello studio.

[di Roberto Demaio]

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