Ritorno su una etimologia di cui ho già scritto su L’Indipendente, aggiungendo qualche nuovo collegamento: l’etimologia di “pace”. Il termine deriva dal latino pax ma è il suo retroterra semantico a stupire e a permetterci una serie attraente di viaggi associativi. Pax è l’esito nominale e figurativo del verbo latino pango, il cui significato proviene dal mestiere del falegname, quando si incastrano e si fanno collimare uno con l’altro due distinti pezzi di legno per creare una struttura solida e resistente, ad esempio mediante l’innesto a coda di rondine (che tra l’altro si usa anche in chirurgia). Così pensiamo alla pace come al risultato di uno sforzo abile e intelligente di stabilire un patto duraturo tra due differenti parti.
L’esempio è ancora più eclatante se pensiamo al mestiere del carpentiere: quello navale, che costruisce gli scafi di barche e navi dove tavole ed assi vengono assemblati – compattati – per comporre uno scheletro pronto alle onde anche imponenti, o quello edile che allestiva l’armatura dei tetti delle chiese che, a buon diritto, davano vita a navi e navate dell’edificio.
Il termine “carpentiere” è di origine gallica e si riferisce al carro a due ruote (carpentum) dove, per realizzarlo, vengono congiunte e fissate delle assi.
La pace è dunque far stare in piedi le parti, dar vita a qualcosa di nuovo e di stabile che, come uno scafo o un tetto, sappia sostenere gli sforzi e i carichi e sappia affrontare le intemperie.
La pace è una unione, un accordo, pensato in modo duraturo, di elementi costitutivi, ha sue regole e calcoli costruttivi, una sua architettura.
Unione di pezzi sì ma anche di cuori, di intenzioni concordanti. «Concordia parvae res crescunt, discordia maximae dilabuntur»: nella concordia anche le piccole cose crescono, nel contrasto anche le più grandi vanno in rovina (Sallustio, storico di Roma, I sec. a.C).
Per la pace è necessaria una competenza, una intelligenza di visione, per la guerra basta una disattenzione volontaria, l’incapacità a tenere insieme i pezzi e sullo sfondo anche il sadismo di chi preferisce i crolli, i calcoli sbagliati, dando ovviamente la colpa della mal riuscita a qualcun altro.
[di Gian Paolo Caprettini]