Israele è tornata ad attaccare la Siria con i suoi aerei da guerra, effettuando diversi raid su obiettivi non meglio specificati. I bombardamenti hanno colpito sia le vicinanze della capitale Damasco sia il sud del Paese. Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha confermato gli attacchi e ha avvertito che il suo Paese «non permetterà alla Siria meridionale di diventare come il Libano meridionale», ossia un territorio controllato da forze ribelli filo-palestinesi come Hezbollah. Inoltre, i funzionari israeliani hanno avvertito l’esercito siriano di non spostarsi a sud della capitale, verso cui le forze di terra israeliane si stanno espandendo. Intanto, in Siria cresce la protesta: negli ultimi due giorni, in diverse città del Paese, si sono svolte manifestazioni contro l’occupazione israeliana.
Israele vuole la smilitarizzazione del sud della Siria e sostiene i Drusi nella creazione di una regione autonoma o di uno Stato indipendente, ponendo così il sud della Siria sotto il suo controllo, seppur indirettamente. Martedì sera, i jet dell’aviazione israeliana hanno condotto attacchi nella città di Kiswah, a 20 chilometri a sud di Damasco, nonché nelle province di Quneitra e Daraa. Nel frattempo, le forze di terra israeliane sono penetrate nel villaggio di Al-Bakkar, situato al confine tra le due province colpite dagli attacchi aerei, come riportato dai media locali siriani. Il ministro Katz ha dichiarato che «qualsiasi tentativo da parte delle forze del regime siriano e delle organizzazioni terroristiche del Paese di stabilirsi nella zona di sicurezza nel sud della Siria sarà accolto con il fuoco», come riportato dal Times of Israel. Gli attacchi arrivano lo stesso giorno in cui si è conclusa la conferenza del dialogo nazionale siriano in cui, tra le altre cose, è stata condannata la presenza delle forze militari israeliane all’interno del territorio siriano.
Si tratta di un attacco diretto contro il nuovo governo siriano guidato da Ahmad Al Shaara (noto fino allo scorso anno con il vecchio nome di battaglia jihadista di Abu Mohammad Al Julani), che fino ad ora aveva sempre mandato messaggi rassicuranti ad Israele, con alcuni ministri che si erano spinti fino ad ipotizzare forme di cooperazione con lo Stato sionista. Una mossa apparentemente illogica quella israeliana, tanto più che la nuova Siria è avversaria dell’asse sciita rappresentato dall’Iran e da Hezbollah e del cui appoggio gode Hamas nella Striscia di Gaza. Tuttavia, la razionalità della mossa israeliana è data dal fatto che i vertici israeliani considerano strategicamente più importante sfruttare il vuoto di potere ancora esistente in parte della Siria per aumentare le zone di territorio occupate oltre l’altura del Golan (già occupata da Israele dal lontano 1967), ampliando la “zona cuscinetto” in difesa dei propri confini. Una mossa contraria ad ogni principio del diritto internazionale, del quale Tel Aviv continua a farsi beffe godendo dell’immunità legale garantita dagli Stati Uniti.
L’altra strategia con cui Israele cerca di influenzare il nuovo corso siriano è il supporto alla minoranza drusa. «Non tollereremo alcuna minaccia per la comunità drusa nel sud della Siria», ha dichiarato domenica scorsa Netanyahu. Anche Katz ha affermato che Israele rafforzerà i legami con le popolazioni amiche della regione, in particolare con i drusi. Nei piani di Tel Aviv, infatti, i drusi possono rappresentare la chiave per consolidare il controllo sul sud della Siria, seppur in modo indiretto. Un gruppo di militanti drusi a Suwayda, nel sud della Siria, ha annunciato la formazione del Consiglio Militare di Suwayda, una coalizione di gruppi armati locali con l’obiettivo di proteggere la regione e mantenere la sicurezza. Proprio come i curdi, anch’essi sostenuti da Israele in funzione anti-turca, i drusi puntano alla creazione di uno regione autonoma e autogovernata all’interno dello Stato siriano.
Come riportato dal Jerusalem Post, la comunità drusa rappresenterebbe uno scudo per Israele. Il quotidiano riferisce inoltre che l’esercito israeliano (IDF) sta offrendo posti di lavoro ai membri della comunità drusa, rilasciando loro permessi per entrare in Israele. I drusi sono una comunità religiosa presente nel sud della Siria e sulle Alture del Golan, occupate da Israele, e costituiscono una piccolissima minoranza tra i cittadini arabi di Israele. La promessa israeliana ai drusi siriani sarebbe dunque quella di favorire una riconciliazione e una riunificazione con i loro connazionali che già vivono all’interno di Israele.
Un’ulteriore conferma del fatto che Israele non abbia alcuna intenzione di ritirarsi dalla Siria e consideri l’occupazione in atto nient’altro che un nuovo passo verso la realizzazione della Grande Israele, da sempre parte dei progetti sionisti.
[di Michele Manfrin]