Dopo oltre trent’anni dall’ultimo referendum che sancì la rinuncia all’energia nucleare in Italia, il governo Meloni inverte la rotta. Il Consiglio dei Ministri ha infatti dato il via libera al disegno di legge delega sul cosiddetto “nuovo nucleare sostenibile”, avviando un percorso destinato a riscrivere il futuro energetico del Paese. Secondo i piani del governo, i nuovi mini reattori (SMR) dovrebbero iniziare a essere operativi già dal 2030. L’obiettivo dichiarato è quello di garantire sicurezza energetica e contribuire alla decarbonizzazione, ma la scelta ha già scatenato un acceso dibattito tra sostenitori e oppositori. Nel mentre, un numero sempre maggiore di studiosi evidenzia come gli SMR non possano essere considerati la risposta alla transizione energetica, essendo troppo costosi, richiedendo troppo tempo per essere costruiti e comportando rischi economici e tecnologici ancora troppo elevati.
Il disegno di legge, composto da quattro articoli, affida al governo il compito di adottare, entro dodici mesi dall’entrata in vigore, una serie di decreti legislativi per disciplinare in maniera organica l’intero ciclo di vita della produzione di energia nucleare. Il provvedimento prevede la sperimentazione, localizzazione, costruzione ed esercizio di nuovi reattori, insieme alla gestione dei rifiuti radioattivi e allo smantellamento delle vecchie centrali. Inoltre, verranno istituiti strumenti di formazione per nuovi tecnici e si valuterà la creazione di un’Autorità indipendente per la sicurezza e il controllo. Secondo il governo, il nucleare di nuova generazione, accanto alle fonti rinnovabili, sarà indispensabile per garantire l’indipendenza energetica dell’Italia e contrastare l’instabilità del mercato internazionale dell’energia. Non si è fatta attendere la replica del fronte ambientalista e delle associazioni per le energie rinnovabili. La coalizione “100% Rinnovabili Network”, che riunisce Università, centri di ricerca e organizzazioni come Greenpeace, WWF e Legambiente, ha ribadito la propria contrarietà alla scelta del governo, sottolineando l’elevato costo dell’energia nucleare rispetto a solare ed eolico, i rischi ambientali legati alla gestione delle scorie radioattive e i disastri passati come Chernobyl e Fukushima. Secondo gli oppositori, la transizione energetica può essere realizzata esclusivamente attraverso un mix di fonti rinnovabili, senza ricorrere a una tecnologia già bocciata dai cittadini italiani in due referendum.
A offrire uno spaccato sui grandi punti interrogativi che segnano il dibattito sulla tecnologia degli SMR, ancora in fase sperimentale, è un recente rapporto dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA). Sebbene gli SMR siano stati presentati come un’alternativa più economica rispetto alle centrali nucleari tradizionali, il rapporto attesta come i loro costi lievitino continuamente, spesso ben oltre le previsioni iniziali, come dimostrano casi concreti di progetti realizzati (o in fase di realizzazione) in Russia, Cina, Argentina e Stati Uniti. Un altro problema chiave riguarda i tempi di costruzione. Gli SMR sono stati promossi come una soluzione più veloce rispetto alle centrali nucleari tradizionali, ma i fatti raccontano di enormi ritardi, mentre il settore delle rinnovabili avanza con una velocità sorprendente. In ultimo, il rapporto mette in guardia sul fattore del rischio a causa di problemi imprevisti, essendo gli SMR ancora una tecnologia relativamente nuova e sperimentale. La conclusione degli autori è che, per governi, aziende e investitori, la scelta più sensata sia quella di concentrare gli investimenti su solare, eolico, batterie e reti intelligenti, piuttosto che su una tecnologia che, almeno per ora, sembra destinata a rimanere un’illusione più che una vera opportunità.
Per quanto concerne il nostro Paese, c’è poi un’altra questione di peso, rappresentata dai risultati dei referendum con cui gli italiani, in due diverse occasioni, hanno in passato bocciato l’energia nucleare. Nel 1987, vinse con percentuali tra il 71% e l’80% il “sì” al referendum che chiedeva l’abolizione dell’intervento statale ove un Comune non avesse concesso un sito per l’apertura di una centrale nucleare nel suo territorio, l’abrogazione per gli enti locali dei contributi pubblici per la presenza nel loro territorio di centrali nucleari e l’esclusione della possibilità per l’Enel di partecipare alla costruzione di centrali nucleari all’estero. Poi, nel 2009, il governo Berlusconi annunciò l’intenzione di rilanciare il nucleare: due anni dopo andò in scena un referendum che riguardava l’abrogazione delle norme che consentivano la realizzazione di nuove centrali nucleari in Italia: con un’affluenza del 54,8%, gli italiani votarono “sì” nel 94% dei casi, annullando di fatto i piani dell’esecutivo. Secondo la relazione illustrativa del ddl approvato dall’attuale governo, però, «il nucleare sostenibile oggi rappresenta una delle fonti energetiche più sicure e pulite» non essendo dunque «tecnologicamente comparabile con quello al quale, anche a seguito di referendum, il Paese aveva rinunciato».
[di Stefano Baudino]
Faremo un altro referendum…