lunedì 10 Marzo 2025

L’Unione Europea ha approvato il Piano arabo per Gaza

L’Unione Europea ha espresso ieri, 9 marzo, il proprio sostegno al piano di ripresa e ricostruzione per Gaza, presentato dai Paesi arabi durante il summit svoltosi al Cairo lo scorso 4 marzo. Il progetto, approvato dall’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC) ma bocciato da Stati Uniti e Israele nel giro di poche ore, rappresenta per l’UE «una base seria per le discussioni sul futuro della Striscia di Gaza». La notizia dell’approvazione dell’Unione Europea segue di poche ore un comunicato congiunto rilasciato da Francia, Germania, Italia e Regno Unito, nel quale i ministri degli Esteri hanno riferito di aver accolto favorevolmente la proposta araba, definendola un’opportunità concreta per migliorare le condizioni di vita nella Striscia. 

Nel comunicato, l’Unione Europea ha dichiarato l’intenzione di continuare a «sostenere politicamente e finanziariamente l’Autorità Palestinese e il suo programma di riforme, per aiutarla a prepararsi a tornare a governare Gaza». Ribadendo la richiesta di «piena attuazione del cessate il fuoco», l’UE ha sottolineato il proprio impegno a «rilanciare un orizzonte politico verso la pace in Medio Oriente, basato sulla soluzione a due Stati», oltre all’importanza di garantire la distribuzione degli aiuti umanitari tra la popolazione della Striscia, bloccati da Israele da circa una settimana.

Elaborato dall’Egitto, il piano si articola in tre fasi e prevede un investimento complessivo di 53 miliardi di dollari in cinque anni. La prima fase, della durata di sei mesi, prevede l’installazione di 200.000 alloggi temporanei e il trasferimento del controllo di Gaza da Hamas a un’amministrazione tecnica ad interim. La seconda fase, stimata in due anni e mezzo con un costo di 20 miliardi, punta alla rimozione delle macerie e alla ricostruzione di 400.000 abitazioni, oltre al ripristino delle infrastrutture essenziali: acqua, elettricità, gestione dei rifiuti e telecomunicazioni. La fase finale, per cui sono previsti 30 miliardi, riguarderebbe la riforma della governance e la preparazione di nuove elezioni, con l’eventuale coinvolgimento dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) nella gestione della Striscia.

Hamas ha espresso il proprio sostegno alle prime due fasi, mostrando però riserve sulla terza, mentre Israele ha respinto il piano in modo netto. Il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha dichiarato che qualsiasi proposta araba è inaccettabile per Tel Aviv, senza fornire dettagli specifici. Il governo israeliano continua a opporsi sia al controllo di Hamas che a quello dell’ANP sulla Striscia. Anche gli Stati Uniti si sono mostrati scettici: l’amministrazione Trump ha ribadito la propria visione di una Gaza rinnovata e libera da Hamas, mentre continiua a valutare soluzioni alternative con Israele, tra cui lo spostamento massiccio della popolazione gazawa («I palestinesi non avranno il diritto al ritorno nelle proprie case» aveva detto il presidente americano in un’intervista rilasciata all’emittente Fox News).

Al di là delle dichiarazioni politiche, la situazione umanitaria nella Striscia resta drammatica. Nel finesettimana, il ministro dell’Energia israeliano Eli Cohen ha ordinato l’interruzione totale della fornitura di elettricità a Gaza da parte della Israel Electric Corporation, mettendo a rischio il funzionamento degli impianti di desalinizzazione e il trattamento delle acque reflue, con conseguenze devastanti sull’accesso all’acqua potabile per la popolazione. Una condizione che, sommata al blocco degli aiuti umanitari, l’acuirsi delle tensioni e al rifiuto di Israele di proseguire con la fase II della tregua (che prevedrebbe la fine totale delle ostilità e il ritiro israeliano dalla Striscia), rende il futuro di Gaza ancora profondamente incerto, avvicinando sempre più il rischio di un nuovo genocidio.

[di Gloria Ferrari]

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