sabato 19 Aprile 2025

La scoperta di un altare fornisce nuovi dettagli sul potere dell’impero Maya

È sgargiante ed inquietante, è situato nel cuore di un’antica città Maya ma, al contrario delle aspettative, potrebbe essere stato costruito da artisti formati a più di mille chilometri di distanza: è l’altare rinvenuto a Tikal, in Guatemala, che secondo gli esperti potrebbe persino riscrivere ciò che sappiamo della geopolitica mesoamericana di 1.700 anni fa. A dettagliarlo è un nuovo studio condotto da un team internazionale di ricercatori, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Antiquity. Secondo le teorie degli autori, il monumento sarebbe la prova che popolazioni così distanti non avrebbero interagito solo con semplici scambi culturali, ma anche attraverso l’imposizione fisica e rituale di una potenza straniera. «Questa è la storia di un impero: di come regni importanti si siano spinti a cercare di controllarne altri. Questa nuova scoperta rafforza fortemente l’idea che non si sia trattato di contatti superficiali o di mero commercio. Si è trattato di forze belligeranti che hanno costruito un’enclave vicino al palazzo reale locale», ha commentato il coautore Stephen Houston, professore alla Brown University specializzato nella cultura Maya.

Fino a oggi, le interazioni tra gli abitanti di Teotihuacan – una vasta città dell’antico Messico centrale, situata vicino all’odierna Città del Messico – e Tikal – situata nell’attuale Guatemala, all’interno della giungla del dipartimento di Petén – erano note ma controverse: si parlava di scambi commerciali, contatti diplomatici e forse matrimoni dinastici, ma mancava una prova tangibile che mostrasse l’estensione e la profondità dell’influenza teotihuacana sul territorio Maya. La nuova scoperta, pubblicata sulla rivista Antiquity, sembra cambiare le carte in tavola: a partire dal 2019, un’équipe di archeologi statunitensi e guatemaltechi ha avviato una serie di scavi in una zona di Tikal che appariva come una semplice collina naturale. Al contrario delle previsioni, le scansioni geofisiche hanno invece rivelato la presenza di strutture sepolte e, seguendo muri e pavimentazioni attraverso tunnel sotterranei, i ricercatori sono arrivati a un altare riccamente decorato, con figure umane piumate e tracce di rosso, nero e giallo – colori e simboli propri del cosiddetto “Dio della Tempesta”, divinità più comune a Teotihuacan che nei culti Maya. Le tecniche artistiche e le posture delle sepolture, poi, hanno permesso agli esperti di collegare il complesso non solo simbolicamente, ma anche fisicamente, alla tradizione dell’altopiano centrale.

In particolare, durante le indagini, sotto l’altare sono stati ritrovati due corpi: un adulto – forse un uomo – e un bambino tra i due e i quattro anni sepolto in posizione seduta, pratica comune a Teotihuacan ma insolita per Tikal. Intorno all’altare, altri tre neonati sono stati rinvenuti con modalità simili a quelle osservate in tombe infantili della stessa area messicana. «L’altare conferma che i rituali di Teotihuacan venivano utilizzati proprio nel centro di Tikal», ha commentato Stephen Houston. Secondo l’antropologo e coautore Andrew Scherer, poi, gli edifici ritrovati accanto all’altare furono poi deliberatamente sepolti e mai più ricostruiti, nonostante la zona fosse in seguito considerata di pregio. Un gesto interpretato come un segno di rispetto, timore o rigetto per quella presenza straniera. Secondo gli esperti, l’episodio potrebbe collegarsi a un momento cruciale della storia Maya: nel 378 d.C., secondo alcuni epigrafi ritrovati negli anni Sessanta, Teotihuacan avrebbe rovesciato il sovrano di Tikal e installato un proprio fantoccio sul trono. L’altare, quindi, potrebbe essere stato costruito proprio in quell’epoca, come simbolo del nuovo potere. «È una storia antica quanto il tempo. Imperi che si scontrano per la supremazia culturale e materiale», concludono gli autori, aggiungendo che probabilmente, per i Maya, quella potenza straniera poteva apparire come una minaccia da ricordare ma da seppellire, trattando la zona di contatto come “radioattiva”.

[di Roberto Demaio]

Avatar photo

Roberto Demaio

Laureato alla facoltà di Matematica pura ed applicata dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Autore del libro-inchiesta Covid. Diamo i numeri?. Per L’Indipendente si occupa principalmente di scienza, ambiente e tecnologia.

L'Indipendente non riceve alcun contributo pubblico né ospita alcuna pubblicità, quindi si sostiene esclusivamente grazie agli abbonati e alle donazioni dei lettori. Non abbiamo né vogliamo avere alcun legame con grandi aziende, multinazionali e partiti politici. E sarà sempre così perché questa è l’unica possibilità, secondo noi, per fare giornalismo libero e imparziale. Un’informazione – finalmente – senza padroni.

Ti è piaciuto questo articolo? Pensi sia importante che notizie e informazioni come queste vengano pubblicate e lette da sempre più persone? Sostieni il nostro lavoro con una donazione. Grazie.

Articoli correlati

Iscriviti a The Week
la nostra newsletter settimanale gratuita

Guarda una versione di "The Week" prima di iscriverti e valuta se può interessarti ricevere settimanalmente la nostra newsletter

Ultimi

Articoli nella stessa categoria