C’era anche Julian Assange tra coloro che sabato si sono recati a Roma per i funerali di Papa Francesco. Quest’ultimo si era distinto in vita per il manifesto sostegno alla causa del giornalista australiano, cui aveva addirittura concesso asilo in Vaticano. Assange si è tenuto lontano stampa e non ha voluto rilasciare dichiarazioni, ma la moglie Stella, che lo accompagnava insieme ai due figli, ha detto che la famiglia ha voluto partecipare alle esequie per l’enorme «gratitudine» nutrita verso il Pontefice appena deceduto. Dopo la liberazione dal carcere di Belmarsh, avvenuta lo scorso giugno, la battaglia di Assange non è finita: il presidente Trump, infatti, non ha ancora concesso la grazia al fondatore di WikiLeaks. E ora la Campagna nata a sostegno del giornalista si prepara a nuove mobilitazioni.
«Adesso che Julian è libero, siamo tutti venuti a Roma per esprimere la gratitudine della nostra famiglia per il sostegno del Papa durante la persecuzione di Julian – ha dichiarato Stella Morris su X il giorno dei funerali di Bergoglio –. I nostri figli e io abbiamo avuto l’onore di incontrare Papa Francesco a giugno 2023 per discutere su come liberare Julian dalla prigione di Belmarsh. Francesco ha scritto a Julian in carcere e ha persino proposto di concedergli asilo in Vaticano». Nel luglio del 2023, quando Assange si trovava recluso nel carcere di Belmarsh a Londra, Papa Francesco aveva infatti ricevuto in udienza privata in Vaticano Stella Morris, accompagnata dai due figli della coppia, Gabriel e Max. Morris aveva ringraziato pubblicamente Francesco, parlando dell’incontro come di una «grande emozione». Nella primavera del 2021, Bergoglio aveva scritto una lettera ad Assange, recapitata al giornalista in carcere da padre Dan, pastore anglicano che svolgeva il ruolo di cappellano a Belmarsh, i cui contenuti sono rimasti riservati.
Assange è rimasto rinchiuso nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh per cinque anni, dopo otto anni trascorsi in esilio nell’ambasciata ecuadoriana, per aver rivelato al mondo attraverso il portale WikiLeaks alcuni tra i più vergognosi e cruenti crimini di guerra messi in atto dagli Stati Uniti e dai governi occidentali, oltre che le ipocrisie e i doppi giochi nelle relazioni politiche internazionali. Quella a San Pietro è la prima apparizione pubblica da quando è tornato in libertà, nel giugno scorso, se si esclude il discorso tenuto al Consiglio d’Europa lo scorso ottobre. Da allora, come spiegato a L’Indipendente dal fratello di Julian, Gabriel Shipton, il giornalista è impegnato a recuperare le energie e a fare ricerche per entrare davvero in contatto con il mondo e con le tecnologie che, nella fase in cui si trovava detenuto, hanno subito grandi trasformazioni.
Dopo 14 anni dall’inizio della sua personale Odissea, si può dire che il peggio sia passato, ma la sua battaglia non è certamente finita. Sulla sua persona grava infatti una condanna a cinque anni di carcere, derivata dal patteggiamento con le autorità statunitensi. La Campagna Assange intraprenderà nuovi passi nel mese di maggio per promuovere i diritti che Julian e il suo caso rappresentano, come libertà di comunicazione e l’accesso all’informazione, spingendo affinché il presidente Trump gli conceda la grazia.