venerdì 22 Novembre 2024

Il primo giorno del mondo

E se oggi fosse il primo giorno della nostra terra? Un pianeta in cui esisterebbero già centinaia di lingue, migliaia di dialetti e di parlate, una apparente torre di Babele. Terra, plasmata in mille modi, esattamente come gli esseri viventi, terre di tutti i colori, di tutte le formule fisico-chimiche, di tutte le profondità e densità. Terra, aria, acqua e fuoco: le sostanze della natura, il nostro orizzonte. La semina e il raccolto, il respiro, la sete, il calore e la passione… Quasi una poesia di Emily Dickinson.

La storia non esisterebbe ancora, il passato si comincerebbe a formare lentamente, tutti però avrebbero già una certa età senza conoscere la loro data di nascita, senza sapere cosa vuol dire nascere. Saremmo inevitabilmente tutti diversi. Ma già capaci di muoverci e compiere le azioni necessarie senza capire dove le avessimo imparate.

Trovarsi attorno qualcuno di cui conosceremmo già il nome, sapendo magari che è nostro padre, madre, nostra sorella o fratello. L’oggi che senso avrebbe? E il primo tramonto, la prima pioggia, i primi fiori, e gli animali? Imparare dalla vita, processo immediato e lento. Guardarsi attorno, nessuno che ci potrebbe dire come vanno esattamente le cose. Un mondo ancora senza esperienza, senza verità, dove ci si comincia a fidare, dove si comincia ad ascoltare, a scoprire, aggiungendo conoscenza a conoscenza, come un allievo della vita, come uno scienziato ingenuo e puro.

La fantascienza scommette sulle alterazioni delle leggi naturali, scommette sul collasso del tempo, sull’arrivo di esseri non umani. Ma per creare un alieno basta il secondo giorno di una terra così, quando cominci a non essere capito, quando avviene l’imprevedibile. Capire, l’azione più difficile, che ti allena alla solitudine e all’amicizia.

Pensiamo anche all’utopia, alle infinite possibilità del sentimento collettivo e della ragione di ognuno. Per l’utopia bisogna immaginare, desiderare, sognare, bisogna che passi qualche notte sulla terra, che il tempo diventi ciclico, come volevano i Greci, un tempo dal tramonto all’alba, un altro dall’alba al tramonto. Un tempo per l’immaginazione, per il sogno, un altro per le attività, per il lavoro, uno per il cambiamento, l’altro per la ripetizione. Qualcosa che dobbiamo tornare a riprenderci, come l’avvicendarsi dei giorni, degli amori, delle stagioni, dei governi, delle compagnie. Con la certezza del sonno e del risveglio, ammirando, salutando, sopportando, noi esseri umani, sempre, se siamo degni di questo nome, quando assomigliarsi contiene, luminosa o sfuocata, una sorpresa e una speranza.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]

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