La popolazione dei Masai abita nel nord della Tanzania, in quello che oggi è il “Parco di Ngorongoro”, da secoli. Tuttavia, nonostante la sua presenza all’interno del territorio preceda l’esistenza dello stato della Tanzania, i portavoce della tribù hanno affermato che i funzionari governativi stanno facendo pressione per mandare via i Masai dal sito e dare così spazio ad un crescente flusso turistico. Negli ultimi decenni, il numero di persone che hanno visitato Ngorongoro è infatti aumentato notevolmente: nel 1984 circa 55.000 persone si sono recate lì, mentre nel 2018 sono stati 650.000 gli individui che hanno visitato il parco, il che ha prodotto circa 55 milioni di dollari di entrate derivanti dal turismo.
«Le restrizioni stanno diventando sempre più dure», ha dichiarato un leader Masai che ha chiesto l’anonimato per paura di rappresaglie. «Vogliono ridurre il numero di persone che soggiornano nella zona», ha aggiunto. All’inizio di quest’anno, l’organo di governo responsabile del Parco ha infatti emesso un avviso di sfratto nei confronti di 45 persone ed ha altresì ordinato la distruzione di 100 edifici. Esso però, in seguito ad alcune proteste pubbliche svoltesi sia dentro che fuori la Tanzania, è stato successivamente annullato. Tuttavia, stando a quanto riportato dall’Oakland Institute, un think tank progressista, si è trattato di un primo tentativo di attuare un piano ben più grande: il governo della Tanzania ha in tal senso proposto un progetto di riqualificazione delle zone di Ngorongoro che secondo il think tank potrebbe portare allo sfollamento di 80mila persone, soprattutto Masai.
Proprio con l’intento di cercare di contrastare lo sfratto della popolazione dei Masai, dunque, è stata lanciata una petizione che ha già superato le 95mila firme e che è diretta al governo tanzaniano e all’Unesco, responsabile di Ngorongoro da quando l’area venne riconosciuta patrimonio mondiale nel 1979.
Ad ogni modo, si tratterebbe solo dell’ultima azione contro i Masai da parte delle autorità, che negli ultimi anni hanno imposto diverse restrizioni alle attività consentite a questi ultimi. In tal senso, nel 2009 è stato imposto loro il divieto di coltivare: ciò ha portato a fame e povertà diffuse e, stando ai racconti di alcuni Masai, una parte di loro ha già abbandonato il Parco per questo.
[di Raffaele De Luca]