Da giorni c’è grande attenzione sulla “crisi del carburante” che investe il Regno Unito. Le immagini indugiano sulle pompe di benzina chiuse per mancanza di materia prima e sulle lunghe code che i cittadini affrontano per fare scorte in quelle ancora aperte. Il governo Johnson ha annunciato che da lunedì 4 ottobre saranno schierati quasi 200 militari “per far fronte alla crisi della distribuzione della benzina in Inghilterra”. Ma la situazione è tanto grave come raccontato su molti media? E, soprattutto, la colpa è tutta della Brexit? Piccolo spoiler: come al solito la situazione è un po’ più complessa e in effetti no, non ce la stanno spiegando benissimo.
Una crisi più percepita che reale
Più del caro benzina, si erano paventati veri e propri ammanchi. E nonostante alcuni distributori recentemente siano rimasti vuoti, il governo ha ribadito che non esiste nel Paese una reale carenza di carburante. Anche i giornali inglesi lo hanno confermato e le associazioni hanno frenato questa preoccupazione, specificando che il problema effettivo è la ridotta disponibilità di trasportatori: servirebbero altri 100.000 camionisti.
Ma prima di tutto vanno chiarite le dinamiche di una crisi, che si è autoalimentata attraverso il panico e il rumore mediatico. La confusione delle notizie ha fatto crescere nella popolazione la paura che il carburante potesse effettivamente scarseggiare. E così ecco le lunghe file ai distributori di persone che volevano assicurarsi scorte bastevoli per settimane. Come spesso accade queste cose si autoalimentano in quello che la psicologia comportamentale definisce effetto pigmalione. Ricordate il primo lockdown, quando la paura che i supermercati rimanessero senza scorte spingeva centinaia di persone ad affrontare file interminabili per riempire il carrello all’inverosimile nella paura di rimanere senza cibo? Questa fu la ragione per la quale molti supermercati si trovarono effettivamente senza scorte: non la reale mancanza di materia prima, ma un picco quantitativo degli acquisti da parte di cittadini spaventati. Ecco il meccanismo è circa lo stesso. Questo comportamento, ha portato allo svuotamento di 5.500 pompe di benzina sulle 8.000 presenti in Gran Bretagna.
La crisi attuale è quindi più che altro legata alla difficoltà del mantenere i ritmi di trasporto della benzina presso le pompe, dato l’aumento di richiesta. Non alla mancanza del prodotto in sé. Per questo gran parte degli analisti ritengono che l’equilibrio tra domanda e offerta dovrebbe ristabilirsi nei prossimi giorni. Il nodo dei trasportatori però resta e sarà intanto sopperito dall’esercito, in attesa che il governo implementi strategie rapide per aumentare il numero di addetti.
Le varie cause
In molti si sono concentrati sulle cause di questo impasse sorprendente, ma a dire il vero la tendenza è stata quella di attribuire la maggior parte del peso alla Brexit. Che l’uscita dall’Unione Europea c’entri non si può negare. Ora per gli stranieri è più difficile espletare la trafila burocratica per entrare nel Regno come lavoratori. Eppure, sarebbe poco lucido considerarla l’unica ragione. Anche se ce ne accorgiamo poco tutto il mondo è alle prese da mesi con difficoltà logistiche evidentissime. Un paio di prove della situazione sono state la crisi di approvvigionamento a livello mondiale dei microchip e le difficoltà causate dalla chiusura per qualche giorno del canale di Suez lo scorso marzo.
Una parte della ragione va cercata nella pandemia: il protrarsi delle restrizioni ha spinto a lasciare i confini un numero importante di addetti e potenziali tali. Inoltre, come riportato da Bbc News e dalla testata Business Standard, sempre con la crisi pandemica molti autisti anziani hanno anticipato il pensionamento e ora si fa fatica a sostituirli, dato che sempre a causa delle restrizioni dovute all’emergenza Covid il reclutamento di nuovi camionisti è rallentato, con ritardi nella formazione e negli esami di guida. Questo ovviamente vale anche per la sostituzione dei lavoratori migrati dopo la Brexit. La trafila è lunga e in Inghilterra non può accadere come in Italia e negli altri paesi del patto Schengen, dove in pochi giorni possono arrivare centinaia o migliaia di camionisti provenienti da altri paesi dell’Unione a togliere le castagne dal fuoco. Un sistema che di certo rende più difficile l’accadimento di problemi di manodopera come in UK, ma che ha anche evidenti rovesci della medaglia, specie nella facilità con la quale si può introdurre nel sistema manodopera pronta a lavorare per salari inferiori alimentando la concorrenza tra i lavoratori.
Sempre fonti britanniche considerano inoltre che il lavoro di trasportatore è oggi meno ricercato, complici retribuzioni relativamente basse, cambiamenti nel modo in cui vengono tassati i redditi dei camionisti e altri motivi più tecnici, come la scarsità di servizi igienici e docce lungo le autostrade. Ora il governo punta a snellire l’assunzione di personale e facilitare l’accesso di forza lavoro dai paesi UE, ma garantendo solo visti temporanei. Nessuna retromarcia quindi, semplicemente, come può fare ogni Stato che può attuare politiche migratorie sovrane, è stata presa la decisione di aprire transitoriamente per risolvere un problema specifico. Per ora il governo ha approvato il via libera alla concessione di visti temporanei per cinquemila camionisti stranieri.
Settore alimentare, problematiche più complesse
Si può imputare in buona parte alla mancanza di lavoratori domestici e provenienti dall’UE anche la carenza di generi alimentari. Senza però dimenticare l’attrito geopolitico (con protagoniste Russia e Cina) che, sulla scia della crisi Covid, ha impattato sui costi e sugli approvvigionamenti di gas e di CO2, molto utilizzata in Uk nell’industria alimentare per vari processi. Innanzi tutto i produttori di anidride carbonica hanno ridotto la produzione, così il sentore di un rialzo dei prezzi dell’energia ha impattato sulle filiere produttive e sugli allevamenti, spingendo le industrie a ridurre l’offerta. Bisogna tenere conto che l’anidride carbonica è usata anche nell’impacchettamento e nel mantenimento di molti prodotti da forno e cibo fresco. Nelle bevande e nell’impacchettamento della carne. Tra l’altro, in Inghilterra, la pandemia ha frenato anche i produttori di fertilizzanti provocando difficoltà al settore dell’agricoltura convenzionale. Per quanto riguarda il settore alimentare, a differenza di quello del carburante, la situazione potrebbe perdurare.
Se a tutto ciò aggiungiamo il fatto che, durante la pandemia, la richiesta di consegne di beni a domicilio si è impennata e che pure questo settore necessita di autisti e corrieri, ecco che ci si è trovati di fronte alla potenziale tempesta perfetta. La Brexit chiaramente è uno dei fattori in campo ed ha una sua importanza. Ma le dimensioni del problema vanno comunque messe nella giusta cornice: in buona sostanza si tratta di una questione transitoria che per gli inglesi si risolve, almeno per ora, nel dover fare un po’ di fila per riempire il serbatoio dell’auto. Di certo non per questo ci sarà una marcia indietro sulla Brexit, nonostante molti media cerchino di dipingere i fatti di questi giorni come la prova del suo fallimento.
[di Giampiero Cinelli]