domenica 24 Novembre 2024

I polli del supermercato sono ancora pieni di antibiotici

Una pratica comune all’interno degli allevamenti intensivi consiste nel somministrare antibiotici agli animali: secondo un recente rapporto dell’Ema (Agenzia europea per i medicinali), infatti, nel 2020 circa 689 tonnellate di antibiotici venduti in Italia sono stati destinati agli «animali da produzione alimentare». Tra questi vi sono anche i polli: nella nostra nazione sono più di 500 milioni quelli allevati ogni anno e come testimoniato dall’associazione Essere Animali, che ha effettuato un’indagine sotto copertura in un allevamento di polli Aia, gli animali ricevono abitualmente antibiotici tramite il mangime e l’acqua e la maggior parte di essi non viene somministrata per curare le malattie bensì per prevenirle. Non si tratta però certamente di un caso singolo: negli allevamenti intensivi la somministrazione dei medicinali è attualmente praticamente indispensabile in quanto gli animali possono facilmente sviluppare malattie.

Come sottolineato da Essere Animali, infatti, i polli vengono normalmente allevati in grandi numeri ed in condizioni igienico-sanitarie pericolose. Generalmente però i polli d’allevamento rischiano fortemente di ammalarsi non solo per questo motivo ma anche a causa delle loro caratteristiche. In tal senso, gran parte di quelli utilizzati per produrre carne sono “broiler”, un tipo di pollo che deriva da incroci di varie razze e che è in grado di fornire una risposta migliore alla domanda di carne crescendo velocemente (normalmente il suo ciclo di vita varia dai 40 ai 60 giorni) ed avendo un petto molto di dimensioni enormi, spropositate rispetto a quelle degli arti. Tralasciando il fatto che per questo tende ad avere problemi allo scheletro e dunque a soffrire, bisogna ricordare che il broiler è tendenzialmente debole in quanto ha delle difese immunitarie basse a causa di un patrimonio genetico limitato.

È dunque facile comprendere perché, come detto precedentemente, è al momento indispensabile somministrare gli antibiotici a questi animali: non facendolo la possibilità che essi si possano ammalare sarebbe molto elevata. Tale pratica però rappresenta la principale causa del fenomeno dell’antibiotico resistenza: come sottolineato all’interno di un documento dell’Associazione medici per l’ambiente – Isde Italia, l’elevato uso di antibiotici negli allevamenti contribuisce ad essa, che è trasmissibile all’uomo. Abbiamo quindi a che fare con un grave problema per la salute globale: l’antibiotico resistenza, infatti, è responsabile di circa 33.000 decessi all’anno nella sola Unione europea e si stima che costi all’UE 1,5 miliardi di euro all’anno. Con ogni probabilità, dunque, è anche per tale motivo che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha recentemente lanciato un appello chiedendo di smettere di somministrare gli antibiotici agli animali sani e così «prevenire la diffusione della resistenza ad essi».

[di Raffaele De Luca]

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