giovedì 21 Novembre 2024

Petrolio e socialismo: le colpe per cui il Venezuela è (di nuovo) nel mirino

Martedì 20 dicembre, la corte suprema del Regno Unito ha stabilito che la Gran Bretagna riconosce Juan Guaidó inequivocabilmente come legittimo capo di stato. Questa decisione avviene a seguito della battaglia legale in corso, tra il “presidente autoproclamato” gradito all’Occidente, Guaidó, e il presidente realmente in carica, Nicolàs Maduro, per il controllo su 1,6 miliardi di euro di riserve auree detenute (e al momento bloccate) dalla Banca d’Inghilterra. Fondi, che stando ad un libro (Room Where It Happened) pubblicato dall’ex consigliere per la sicurezza di Trump, John Bolton, vennero congelati, su espressa richiesta di Washington, al solo scopo di applicare pressioni economiche al governo di Maduro.

Per comprendere meglio questa vicenda bisogna tornare al 2018, anno in cui venne rieletto Maduro durante le elezioni presidenziali tenutesi in Venezuela. Carica ottenuta con il 67% dei voti (con un’affluenza del 46%). Le elezioni del 2018, che vennero boicottate e fortemente contestate dalle opposizioni diedero il via ad una crisi politica, che raggiunse l’apice nel gennaio 2019, quando l’Assemblea nazionale, il parlamento controllato dall’opposizione ma di fatto esautorato, dichiarò invalide le elezioni e nominò Juan Guaidó presidente ad interim del Venezuela.

Maduro ha sempre sostenuto che dietro la crisi politica del 2019 ci fosse un tentativo di colpo di Stato da parte degli Stati Uniti per rovesciarlo. E in effetti il governo di Maduro non ha tutti i torti nel sostenere tali accuse, dato che negli anni della presidenza Trump le ingerenze da parte di Washington in Venezuela sono state numerose. Basti pensare che il riconoscimento di Guaidó come legittimo presidente da parte degli Stati Uniti avvenne in tempi rapidissimi. Che una scelta di tale rilievo avvenga in un così breve lasso di tempo appare quantomeno strano, considerando che Guaidó, sebbene fosse presidente dell’Assemblea Nazionale, (il Parlamento venezuelano) non era ancora una figura di spicco tra l’opposizione venezuelana e non godesse di alcun potere reale all’interno del paese.

Il disconoscimento di Maduro come legittimo presidente a favore di Guaidó venne poi confermato anche dagli alleati di Washington, inclusa l’Unione Europea. Ad oggi, pochi paesi tra cui Egitto, Turchia, Cina, Russia e Iran continuano a riconoscere Maduro come legittimo presidente.

Tra il 2019 e il 2020, diversi furono i tentativi da parte della presidenza Trump di ostacolare e far cadere il governo di Maduro. Numerose furono le dichiarazioni da parte di Washington in cui non si escludeva l’ipotesi di un intervento armato in Venezuela. Nell’agosto 2019, Trump decise inoltre di imporre ulteriori sanzioni economiche al Venezuela, ordinando il congelamento di tutti i beni del governo venezuelano negli Stati Uniti e bloccando le transazioni con cittadini e società statunitensi. Sanzioni economiche vennero applicate anche da parte dell’Unione Europea, rinnovate poi dal Consiglio Europeo per altri 12 mesi il 26 novembre 2021.

Per oltre 15 anni il Venezuela ha subito sanzioni economiche da parte degli Stati Uniti, inizialmente giustificate dalla mancata collaborazione sul contrasto al traffico di droga e alla lotta al terrorismo. In seguito, durante la presidenza Obama, vennero applicate nuove sanzioni per il mancato rispetto dei diritti umani, la corruzione e le presunte azioni antidemocratiche commesse dal governo di Maduro. Mentre l’ultimo round di sanzioni venne appunto giustificato dalla mancanza di trasparenza durante le elezioni presidenziali del 2018.

Per dovere di cronaca va ricordato che dal 2013 (anno in cui Maduro vinse le prime elezioni a seguito della morte del presidente storico Hugo Chavez) ad oggi, si sono tenute nel paese 3 elezioni presidenziali e altrettante elezioni parlamentari e locali. Inoltre, un rapporto preliminare della Missione di osservazione elettorale dell’Unione europea (EOM-UE), incaricata di monitorare le elezioni locali tenutesi nel novembre 2021 in Venezuela, di nuovo vinte largamente dall’alleanza socialista, ha confermato che: “il voto si è svolto in un contesto migliore rispetto al passato”. Elezioni, che vedevano il ritorno delle opposizioni dopo 4 anni, e che sono state nettamente vinte dal partito di governo che si è imposto in 20 su 23 stati.  Gli osservatori europei, nonostante abbiano rilevato delle irregolarità hanno comunque confermato che: “il quadro elettorale venezuelano sia conforme alla maggior parte degli standard internazionali fondamentali”.

Partendo da sinistra: Juan Guaidó e Nicolàs Maduro

Le sanzioni economiche, il malgoverno e la corruzione, hanno trascinato negli anni il Venezuela in una profonda crisi economica. Gli alti livelli di disoccupazione, le difficoltà di accesso al cibo e ad altri beni di prima necessità, comprese le medicine, hanno spinto circa sei milioni di venezuelani a fuggire dal Paese in cerca di una vita migliore. Questa crisi umanitaria e stata indubbiamente aggravata anche dalle tensioni politiche interne, come il tentativo di colpo di stato da parte di Guaidó e di alcuni vertici dell’esercito nell’Aprile 2019, o l’incursione per rapire/uccidere Maduro da parte di un gruppo di mercenari della compagnia di contractors americana SilverCorp USA nel maggio 2020

Nonostante il tentativo di colpo di stato (miseramente fallito) messo in atto da Guaidó, che avrebbe potuto gettare il paese in una sanguinosa guerra civile, viene da chiedersi come mai parte della comunità internazionale continui ancora a riconoscerlo come presidente legittimo. Le elezioni dello scorso novembre che hanno visto la vittoria netta da parte del partito di Maduro, hanno confermato ancora una volta come il supporto della popolazione venezuelana verso Guaidó sia limitato. Lui stesso, commentando il risultato delle elezioni, ha dichiarato che “bisogna ricostruire e che serve unità di intenti tra i vari leader delle opposizioni”, facendo sottintendere di non avere nemmeno il controllo su tutte le varie forze di opposizione all’interno del paese. I critici del Venezuela, capeggiati da Washington, non esitano a condannare l’operato del governo Maduro usando come pretesto le elezioni non libere, e facendo leva sui diritti umani e la mancanza di libertà civili a cui il popolo venezuelano sarebbe soggetto. Eppure, sia gli Stati Uniti che l’Unione Europea tra i propri alleati vantano paesi in cui le elezioni non si tengono proprio come l’Arabia Saudita, oppure altri paesi che di certo non vantano la tutela dei diritti umani tra le loro qualità principali, come Turchia ed Egitto. Nonostante le numerose denunce da parte di ONG e attivisti, in merito ad arresti indiscriminati, torture e assassini compiuti dalle forze dell’ordine Egiziane, il governo di Abdel Fattah el-Sisi è riuscito ad ottenere, lo scorso marzo, la cancellazione delle sanzioni da parte dell’Unione Europea.

Alla luce di questi esempi, viene quindi da chiedersi da dove arrivi tutto questo accanimento da parte dell’Occidente verso il Venezuela? Come spesso accade va annotata una “coincidenza”: le attenzioni e le ire di Washington verso il mancato rispetto dei diritti umani si concentrano ancora una volta sui Paesi che detengono grosse risorse naturali (come Siria e Iran) o che perseguono un sistema economico socialista, inviso ai governi statunitensi e ai loro interessi economici (come Cuba). Il Venezuela deve scontare entrambe le “colpe”: detiene le più grandi riserve al mondo di petrolio (stimate in 300 miliardi di barili) e la loro gestione venne nazionalizzata a partire dalla fine degli anni ’90, dal presidente socialista Hugo Chavez, tagliando fuori dalla gestione le multinazionali occidentali.

[di Enrico Phelipon]

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