La scorsa settimana, il governo siriano ha denunciato gli enormi danni arrecati da più di dieci anni di conflitto al settore petrolifero del Paese e, quindi, all’intero settore economico. Tra azioni dirette e indirette di formazioni paramilitari, gruppi terroristici e forze regolari di Paesi presenti illegalmente, i centri di estrazione e di raffinazione del greggio hanno subito ingenti danni e grandi quantità di petrolio sono state rubate con frequenza regolare. Il ministero del Petrolio e delle Risorse Minerarie ha rivelato che le perdite totali nel settore petrolifero ammontano, dal 2011, anno di inizio della guerra, a circa 100,5 miliardi di dollari. Dei quasi 86.000 barili al giorno che il governo siriano è riuscito ad estrarre, circa 16.000 hanno raggiunto le raffinerie mentre il resto è stato rubato dalle forze di occupazione statunitensi e da gruppi da esse sostenuti. Il governo siriano ha anche comunicato che, in questi anni di conflitto, sono deceduti 235 dipendenti del settore petrolifero, 64 sono rimasti feriti e 112 sono stati rapiti.
Alla metà di gennaio, più di cento veicoli statunitensi hanno trasportato petrolio e attrezzature militari dalla Siria, passando dal valico di frontiera illegale di Hasakah, nella parte nord-orientale, all’Iraq. Stessa cosa è avvenuta all’inizio di gennaio, e poi ripetuta all’inizio di questo mese, con un convoglio di circa 130 autocisterne che hanno contrabbandato greggio dalla Siria all’Iraq passando dal valico di al-Waleed. In queste occasioni, i militanti curdi delle Forze Democratiche Siriane (SDF) hanno scortato i mezzi statunitensi fino al confine con l’Iraq. Il Pentagono giustifica la propria presenza nel Paese per motivi di sicurezza rispetto alla presenza dell’ISIS e di gruppi terroristici affini che potrebbero entrare in possesso degli impianti di produzione e raffinazione del greggio.
La Siria, nel 2010, produceva 385.000 barili al giorno di greggio, rappresentando il 25% delle entrate totali del Paese mentre adesso, per sopperire alla domanda interna, deve importare fonti energetiche dall’alleato iraniano. Infatti, dallo scoppio del conflitto, la Siria è sotto sanzioni da parte dei Paesi occidentali e, di fatto, vive sotto embargo con gran parte del mondo. La Russia rappresenta per la Siria l’alleato di ferro: oltre ad aver aiutato il governo a respingere l’offensiva dello Stato Islamico e dei vari gruppi apparsi sul terreno di scontro, sta cercando di risollevare il settore più importante dell’economia siriana. Nel 2019, due società russe, Mercury LLC e Velada LLC, hanno firmato accordi con il governo siriano per l’esplorazione di quasi 10.000 chilometri quadrati in un’area della regione nord-orientale del Paese e in una a nord di Damasco dell’estensione di circa 2.000 chilometri quadrati.
La Siria vive dal 2011 un conflitto civile, divenuto poi guerra internazionale per procura, che si protrae ancora oggi. All’inizio di questo mese, l’opposizione siriana si è riunita a Doha per discutere sul presente e sul futuro del paese. I vari esponenti dell’insurrezione siriana sono accorsi in Qatar da vari Paesi del mondo per cercare di rinsaldare le forze. Riad Hijab ha espresso la volontà di effettuare una nuova offensiva nei confronti del Presidente siriano, Bashar al-Asad, dicendo di non dover più commettere gli errori commessi in passato, senza specificare quali essi siano stati. Salem al-Meslet ha invece affermato che è importante «inviare un messaggio a tutti i siriani, ascoltare i loro consigli e fare un nuovo piano».
Insomma, la partita siriana e la sofferenza del suo popolo non è ancora finita. Nel frattempo, le poche risorse a disposizione del Paese vengono sottratte da forze di occupazione straniera e gruppi terroristici da esse sostenuti.
E vista la situazione generale dei rapporti tra Stati Uniti – e tutta la NATO – e Russia, è comprensibile pensare che il fronte siriano torni ad essere molto caldo e che per gli Stati Uniti riacquisti importanza nell’ottica strategica dell’accerchiamento e del logoramento russo.
[di Michele Manfrin]