giovedì 21 Novembre 2024

Mediterraneo, hotspot di biodiversità e cambiamento climatico

Il Bacino del Mediterraneo non è solo una delle culle della civiltà. Qui, la storia dell’uomo si intreccia nel modo più intimo con le massime espressioni della natura. Una posizione geografica unica ed un’eterogeneità ambientale senza eguali, infatti, oltre ad aver favorito lo sviluppo della nostra cultura, hanno anche gettato le basi per l’evoluzione di una straordinaria biodiversità. Le ultime stime effettuate indicano, nel Mediterraneo, la presenza di circa 17.000 specie marine, le quali rappresentano dal 4 al 25% della diversità globale. Pur coprendo appena lo 0,82% della superficie terrestre, il Mediterraneo ospita circa il 7,5% delle specie mondiali. La ricchezza specifica, in rapporto all’area, è quindi circa 10 volte superiore alla media. Ancor più sorprendente se consideriamo che stiamo parlando in gran parte di endemismi, ovvero, specie che sono presenti solo nel nostro mare e sulle terre che lo circondano. Sono endemici il 44% dei pesci ed il 25% dei mammiferi, così come il 35% degli anfibi italiani e il 24% dei rettili iberici. Senza contare poi che l’ecoregione Mediterraneo ospita circa 25.000 specie vegetali, di cui più della metà esclusiva di quest’area.

Mediterranean hotspot (IUCN, 2016)

Non è un caso quindi che il Mediterraneo sia stato individuato come uno dei 25 hotspot di biodiversità a livello globale. Un approccio conservazionistico, questo, che porta due notizie, una buona ed una cattiva. Essere un hotspot, infatti, da un lato significa ospitare una biodiversità unica, dall’altro, riconoscere però che questa sia minacciata. Nei ‘punti caldi’ di biodiversità, si hanno quindi concentrazioni eccezionali di specie endemiche che stanno tuttavia subendo una perdita eccezionale di habitat. Perderle è un rischio che non possiamo correre: ben il 44% di tutte le specie di piante vascolari e il 35% di tutte le specie di quattro gruppi di vertebrati sono confinati negli hotspot globali che interessano solo l’1,4% della superficie terrestre. E proprio nel Mediterraneo, dove lo sfruttamento del territorio ha origini estremamente remote, che la frammentazione e scomparsa degli habitat avviene a ritmi allarmanti. Lo stretto legame con la società umana, si badi bene, non ha però solo accezioni negative, basti pensare all’elevatissima diversità biologica di interesse agricolo, alla base di una dieta riconosciuta come la più equilibrata e salutare a livello globale. Tuttavia, l’impatto antropico si fa sentire, ed ora come non mai esacerbato dalla pressione del riscaldamento globale, minaccia ogni specie mediterranea, quella umana compresa. Oltre alla perdita di habitat, a mettere a repentaglio la salute degli ecosistemi mediterranei, ci sono il bracconaggio, la pesca eccessiva ed illegale, l’inquinamento, l’invasione di specie aliene e l’acidificazione delle acque. L’anno appena trascorso, poi, si è confermato come quello in cui sono state registrate le più alte temperature oceaniche della storia. E il Mediterraneo è il bacino che si sta scaldando più in fretta. Il Mare Nostrum così, oltreché hotspot di biodiversità, è accertato anche come hotspot del cambiamento climatico. Cambiamento che – secondo gli scienziati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – è già in gran parte irreversibile. Anche riducessimo le emissioni di carbonio rispettando gli obiettivi prefissati, il Mediterraneo e la parte di Europa che vi si affaccia andrebbero comunque in contro ad un calo delle precipitazioni, specie invernali, del 20% rispetto ai livelli attuali. 

Cambiamento delle precipitazioni annuali, invernali ed estive nel Bacino del Mediterraneo in due diversi scenari (MedECC, 2020 – basato su dati Euro-cordex).

Ma per quale motivo l’area mediterranea è così a rischio? Tra le ipotesi al vaglio – secondo uno studio del 2020 – c’è il persistere di un’alta pressione invernale anomala, la cui genesi è da attribuire alla combinazione di due fattori indipendenti tra loro: le variazioni nella circolazione generale, con effetti soprattutto ad occidente, e la diminuzione locale del contrasto termico tra mare e terra, rilevante più a oriente. La regione mediterranea, inoltre – sottolineano diversi esperti indipendenti nel First Mediterranean Assessment Reportè ora nel complesso più calda di 1,5°C rispetto all’era preindustriale. Con un tasso di +0,33°C ogni 10 anni, questa si sta riscaldando più intensamente e più velocemente del resto del globo. Un riscaldamento particolarmente amplificato nel settore orientale e nelle città. Ad Atene ed Istanbul, ad esempio, sono già state registrate anomalie impressionanti: +6.8°C e +5.9°C rispettivamente. Letali poi le conseguenze, in particolare, sulla fauna marina. In relazione all’aumento delle temperature si stimano, entro il 2050, una riduzione significativa degli stock ittici, ulteriori impatti sulle barriere coralline e l’estinzione del 40% delle specie endemiche di pesci.

I cambiamenti previsti nella temperatura annuale nel Bacino del Mediterraneo tra il periodo di riferimento (1980-1999) e tre sottoperiodi futuri (Near: 2020-2039, Middle: 2040-2059, End: 2080-2099). (MedECC, 2020 – basato su dati Euro-cordex).

Nel complesso, da quello urbano a quello marino, non c’è ecosistema mediterraneo che non risenta degli effetti del cambiamento climatico. Ogni anno, inoltre, gli eventi meteorologici estremi aumentano di intensità e frequenza. Eventi letteralmente imprevedibili, con impatti devastanti sull’agricoltura e la sicurezza umana. Riduzione delle precipitazioni da un lato ed aumento delle temperature dall’altro significano poi incremento della siccità e formazione di nuove terre aride. In questo senso, i Balcani, la Grecia, la Turchia, il Sud Italia (isole maggiori comprese) ed oltre due terzi della Penisola Iberica presentano le criticità maggiori. Il Mediterraneo, poi, come ogni altro mare, è destinato ad innalzarsi a causa dello scioglimento dei ghiacci. Anzi, ad un ritmo di 3,7 mm/l’anno, lo sta già facendo. Le inondazioni marine, così, si prevede saranno più frequenti delle attualmente dominanti esondazioni fluviali. Gli scenari attuali e futuri appaiono quindi catastrofici, il Mediterraneo avrà la capacità di adattarsi? La base di partenza è buona. La sua rinomata bellezza, infatti, ha una genesi legata all’eterogeneità ambientale, una caratteristica determinante resilienza e resistenza a qualsivoglia sistema ecologico. Ma da solo non può farcela. Gestire le attività ittiche in modo sostenibile, ridurre le fonti d’inquinamento, istituire nuove aree protette e aumentare il monitoraggio, sono solo alcune delle azioni che siamo chiamati ad intraprendere. Il Mediterraneo ha ancora tanto da offrire.

[di Simone Valeri]

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