venerdì 22 Novembre 2024

La società della voce

“La vita sociale degli esseri umani è caratterizzata dall’intenso interesse che ognuno manifesta per ciò che fanno i suoi simili”: queste parole dello scienziato Robin Dunbar suonano molto familiari nei nostri tempi attraversati quotidianamente dai social e sono ancora più interessanti se rapportate alla storia evolutiva dell’uomo che per grandissima parte è stata una storia dove il linguaggio ha presieduto relazioni di piccola scala. Le nostre menti infatti sono predisposte più per gestire rapporti di prossimità, in gruppi ristretti, piuttosto che anonimi proclami universali. Questa una delle ragioni per cui i social si sono affermati. Ma c’è un motivo più sottile, anzi più concreto.

Nelle dinamiche correnti della comunicazione c’è un continente sottaciuto, frainteso o sottostimato a cui si fa riferimento molte volte ogni giorno: si tratta della voce e più precisamente del suono, dei suoni della voce. I messaggi social sono spesso ‘urlati’ ma questo ha un significato antropologico, fisiologico prima che riguardare la buona educazione. È come se si volessero raggiungere i destinatari con la forza della voce e non con la sintassi delle parole. Il linguaggio orale, vero, finto o simulato che sia, si è preso la rivincita sulla lingua grammaticale che viene esplicitata e argomentata mediante la scrittura. E la scuola sta vivendo, e patendo, questo destino acustico-visivo dei media e anche della conoscenza.

Tutti noi siamo rimasti colpiti dalle misure inusuali del tavolo al quale si è seduto Putin per dialogare con i suoi interlocutori, i quali gli stavano parlando in veste ufficiale, non in qualità di ospiti. Una dimensione paradossale che allontana qualsiasi idea di confidenza ma anche di autenticità. Qui però non è in questione il problema della distanza sociale, quella che occorre per un sussurro, quella che fa coprire la bocca agli interlocutori per evitare che venga interpretato il cosiddetto labiale, generando equivoci o insinuazioni, quella oltre la quale è necessario, anche se poco gentile, l’urlo.

Dovremmo piuttosto parlare del suono della voce in senso scientifico, mediante le considerazioni che uno studioso italiano, Paolo Colombo, compositore e musicologo, ha dedicato fondando una nuova scienza, la ‘fonopedia’ – fisiologia e patologia della voce, in analogia con la ‘logopedia’, in rapporto alla parola – e che ha esposto in un libro coinvolgente, appena uscito (Introduzione alla fonopedia, Cartman edizioni) . Il suono della voce è musicale, ha altezza, dinamica, timbro e ritmo, può comunicare gli stati d’animo, le emozioni, l’età e il sesso dell’individuo, può essere imitativo, manipolativo ecc. 

L’intonazione è forse il dato più rivelatore. Se è vero che è il tono a fare la musica, questo è possibile perché esiste una intelligenza musicale, una traduzione mentale dei suoni della voce, quando ad esempio vi attribuiamo una determinata intenzione.

Ma il bello della voce è che possiamo imparare ad usarla convenientemente, perché rappresenta una forma di liberazione, di esternazione, di ginnastica quasi, di un canto sconosciuto che tutti dovremmo conoscere meglio. C’è un benessere della voce che gli attori conoscono bene, una capacità di far apprezzare l’atmosfera, il contesto ambientale e sociale , prima che il senso del discorso, il fascino o il fastidio delle parole.

Maestri ne sono i doppiatori che mediante  i registri della voce sanno far valutare l’intimità, la gamma delle emozioni e delle intenzioni. La voce, in effetti, contiene una forma di apertura e di chiusura, necessita di una consapevolezza e di un controllo anche nella vita quotidiana.

Ma il problema della voce va a investire i compiti educativi perché fa parte di quell’interesse e di quella competenza, di quel materializzarsi dell’intelligenza che è nel suono, nel canto e nella musica.

Il grande pianista Arthur Rubinstein amava fin da ragazzino ogni sorta di suoni, fra cui le sirene delle fabbriche, il canto di vecchie ambulanti, le cantilene dei venditori di gelati. E così fa bene Paolo Colombo a ricordare che la pratica della musica esalta la musicalità, anche perché la voce richiama un ‘fare assieme’ fondamentale per la nostra vita, reale e simbolica.

[Gian Paolo Caprettini]

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