«Ha nevicato giusto l’altro ieri notte, ma non è neve che durerà questa: ne abbiamo già persi almeno 10 centimetri» afferma Roberto, uno dei gestori del rifugio Mila, mentre mi sporge un caffè caldo dall’altra parte del bancone del bar. All’interno della grande sala da pranzo vi siamo solo io e un altro paio di avventori. Tillo, il cane-mascotte della struttura, gironzola per la sala scodinzolando. Fuori dalle finestre il bacino del lago e le pendici della montagna sono ammantati da una coltre bianca abbagliante: lo strato, tuttavia, è molto sottile e in qualche punto sta già cominciando a sciogliersi e mischiarsi con la terra sottostante.
Siamo a Ceresole Reale, nella valle dell’Orco, a un’ora e mezza di macchina da Torino. L’altitudine è oltre i 1600 metri. «L’ultima volta che ha nevicato è stato l’8 dicembre scorso: da allora non abbiamo più avuto precipitazioni» racconta Roberto. Sono trascorsi 95 giorni prima che la neve tornasse a imbiancare la valle. Solo a quest’altitudine, e solo per una notte. «Noi risentiamo anche dell’impatto che questa situazione ha sul turismo, perché molta gente veniva al lago per praticare lo sci di fondo e poi si fermava qua al rifugio. Gli ultimi sciatori sono venuti il 10 dicembre, ma poi la neve si è sciolta». La portata del lago, un immenso bacino dal perimetro di circa 8 chilometri, arriva a 35 milioni di metri cubi quando si trova a pieno regime. «Al momento rimangono circa tre milioni di metri cubi. Iren non lo svuota mai del tutto, anche per garantire la vita della fauna qui intorno».
«È chiaro che trattandosi di un lago artificiale normalmente viene svuotato due volte all’anno, in primavera e autunno, per aspettare che si riempia nuovamente per effetto dello scioglimento della neve e dei ghiacciai in alta quota in estate e per effetto delle precipitazioni primaverili e autunnali, ma è circa un anno e mezzo che di acqua qui non ne abbiamo». Secondo Roberto, in questi giorni particolari a influire sulla quantità d’acqua residua è anche il caro prezzi dell’energia. «Ovviamente con quello che costa l’energia in questo periodo, Iren utilizza tutta l’acqua che può: appena c’è n’è un po’ viene immediatamente utilizzata». Il lago di Ceresole alimenta infatti la centrale idroelettrica di Rosone, un paese poco più a valle, di proprietà di Iren, in grado di produrre 250 Gigawattora all’anno.
Raggiungo la postazione di Iren a piedi, percorrendo il margine del lago dal lato abitato. Nella valle regna un silenzio quasi totale spezzato solo dal rumore dei miei scarponcini che affondano nella neve e dal respiro affannoso del mio cane che corre su e giù senza sosta. «Come dipendenti Iren non siamo autorizzati a rilasciare dichiarazioni» mi dicono i guardiani una volta raggiunta la loro postazione a lato della diga, «ma come residenti della zona possiamo dirti questo: il lago d’inverno è sempre vuoto, non è una novità questa. Certo, però, questa è una zona dove d’inverno vengono anche due metri e mezzo di neve. Quest’anno ne sono scesi appena pochi centimetri». «In questo periodo dovrebbe appena iniziare a sciogliersi la neve in alta quota, quindi il lago e i torrenti dovrebbero iniziare a breve ad avere una portata più grande. Il problema è l’assenza di precipitazioni. Il lago d’inverno è sempre stato praticamente vuoto, ma coperto dalla neve. Quest’anno non ne è scesa nemmeno un po’». Mentre parliamo mi indicano i punti lungo le pendici delle montagne dove si trovano i letti asciutti dei torrenti che fanno da affluenti al torrente Orco, che serpeggia per circa 90 km nella valle prima di gettarsi nel Po.
«Le anomalie termiche sono state impressionanti: a dicembre di un grado superiore alla norma, a gennaio quasi due, 1.9 per la precisione». Stefano Fenoglio, esperto di ecologia fluviale e tra i fondatori del Centro per lo Studio dei Fiumi Alpini (AlpStream), dipinge un quadro della situazione attuale abbastanza preoccupante. «Oltre i tremila metri c’è stato lo zero termico per giorni e giorni» mi spiega al telefono, «Se non piove e le temperature fondono quello che era presente grazie alle precipitazioni precedenti si verificano dei deficit idrici, che si traducono nel fatto che adesso in molti fiumi c’è la metà dell’acqua che dovrebbe esserci in questo periodo». Riguardo la situazione del lago di Ceresole, Fenoglio mi spiega che il fatto che sia senza acqua «è un grosso allarme, perché è un lago grosso e il fatto che i fiumi che vi dovrebbero portare l’acqua siano a secco è grave. Se si svuota perché non si ricarica più è un discorso ben diverso dal fatto che si svuota perché è l’uomo a farlo».
Il problema della siccità non si presenta solo in alta quota. Costeggiando il Po lungo i Murazzi, a Torino, non si può non rimanere impressionati dall’immagine delle pietre e del fondale che in certi punti affiorano in superficie, uno spettacolo anomalo in quasi tutte le stagioni. «Ci sono dei casi come il Po, dove la portata d’acqua è dimezzata, o come il Pellice o lo Stura di Piemonte, ancora più gravi perché l’acqua è il 70% in meno rispetto alla media stagionale» afferma Fenoglio. Il dato più preoccupante, a suo parere, è che non si tratti di un fenomeno episodico quanto di un trend che si ripete da anni: «Questo è l’ottavo anno di fila nel quale si registrano problemi di approvvigionamento idrico. Sicuramente, quest’anno è stato particolarmente siccitoso rispetto ad altri».
L’allarme per la siccità in Piemonte è stato lanciato anche dall’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po, che sottolinea come nel Nordovest la situazione particolarmente grave. In questa zona sono stati registrati ovunque oltre 90 giorni senza precipitazioni significative. A causa di ciò, il Po si trova ai valori minimi dal 1972, dato che definisce una situazione di “estrema siccità idrogeologica”. Le ripercussioni sull’agricoltura e sulla produzione di energia idroelettrica potrebbero rivelarsi assai gravi, dal momento che “la disponibilità d’acqua attuale difficilmente potrà colmare i fabbisogni della prima parte dell’estate”.
Il problema, mi spiega Fenoglio, ha anche ben altra portata. Oltre alla quantità di acqua disponibile, infatti, vi è anche una questione di qualità, che non va affatto trascurata. «Un fiume riesce a depurare anche in base alla quantità di acqua che ha a disposizione. I depuratori funzionano perché c’è un certo numero di abitanti equivalenti, cioè di persone che immettono i propri scarichi nei fiumi, e un certo volume del corpo recettore, ovvero la quantità di acqua nella quale noi versiamo i reflui del depuratore. Il numero di abitanti equivalenti è sempre lo stesso, ma la portata dei fiumi è crollata: molti fiumi ora sono inquinati non perché noi inquiniamo di più, ma perché c’è meno acqua e ciò che vi viene immesso rimane più concentrato. La qualità dell’acqua peggiora di conseguenza: questo ha certo una serie di impatti notevoli, perché l’acqua potrebbe finire per non essere più utilizzabile». A Torino la scuola di dottorato Sustnet si occupa dello studio della qualità dell’acqua e delle possibili soluzioni future.
La coltre grigia che incombe su Ceresole nella mattinata fa sperare in una nuova prossima nevicata. Nel primo pomeriggio, tuttavia, le nuvole si squarciano lasciando spazio al cielo azzurro e a un sole tiepido. Presto di tutto questo bianco non vi sarà più traccia. Il pensiero suscita in me una sorda malinconia. Seduta all’esterno del rifugio Mila, mentre i cani giocano rincorrendosi in quel deserto di neve, fumo un’ultima sigaretta prima di rientrare a Torino.
[di Valeria Casolaro]