Un documentario di 54 minuti (visibile sulla piattaforma streaming di RaiPlay) della regista Giulia Bertoluzzi premiato dalla Commissione Europea con il Migration Media Award e mansione speciale della giuria al Festival Internazionale del Documentario Visioni dal Mondo nel 2018. Strange Fish racconta di ciò che succede sull’altra sponda del Mar Mediterraneo. Siamo nel sud della Tunisia nella cittadina di Zarzis al confine con la Libia in quel tratto di costa che ogni giorno è scenario di conflitti e disperazione. Un documentario girato con estrema sensibilità e che senza alcuna retorica ci fa entrare intimamente e delicatamente in contatto con la comunità locale e da un punto di vista inedito, descrive la triste attività dei pescatori di Zarzis.
Tramite le loro voci commosse e i loro tristi sguardi, l’autrice ci fa scoprire il forte impegno civile e di incredibile umanità quasi di “pietas” con cui da anni e solo con i propri mezzi, soccorrono i migranti che da quelle coste partono per un incerto viaggio verso l’Europa, ma più spesso sono costretti a raccoglierne i corpi senza vita riportati a riva dalle correnti. Danno loro una degna sepoltura nel cimitero dei “senza nome”, fra le sabbie e le dune di quella piccola città della costiera tunisina. A riva anche barche abbandonate e semi distrutte, misere tracce di vita, oggetti di ogni tipo che un giorno erano appartenuti a qualcuno. “Eroi misconosciuti” come Chamseddine Baurassine, Salaheddine Mcherek, Chamseddine Marzoug e gli altri pescatori, gente semplice, gente di mare ma che ne conosce bene le imprescindibili leggi, sono diventati la vera resistenza contro la disumanità e l’indifferenza che in più di 20 anni ha trasformato il Mediterraneo in un cimitero.
«Tra il 2002 e il 2011 non c’era nessuno a salvare gli emigranti, ne l’Unione Europea ne Medici Senza Frontiere ne le Organizzazioni Non Governative. Solo noi pescatori». «Quando c’era Ben Ali al potere (dal 1987 al 2011) la Guardia Nazionale ci diceva di non portarli a riva, di lasciarli in mare, ci siamo sempre rifiutati, a costo di essere arrestati». Così raccontano alla telecamera quanto è successo e quanto ancora succede mentre affrontano le grandi difficoltà di un lavoro sempre più precario che ha subito negli ultimi anni un calo del 70% a causa della decisione della Libia che ha stabilito come sua zona commerciale esclusiva 74 miglia marine dalla cosata e dove ogni sconfinamento è considerato un grave reato. Tutto ciò non ha fatto che aumentare le già ataviche condizioni di povertà, con la logica conseguenza di un forte aumento della disoccupazione per cui anche alcuni fra i più giovani sono stati costretti a emigrare clandestinamente così come i figli di uno dei protagonisti. Ciò nonostante questi pescatori che mai abbandoneranno la loro terra, continuano la loro compassionevole opera.
Questo contesto ai più sconosciuto ce lo rivela la giovane regista Giulia Bertoluzzi giornalista d’inchiesta con una passione ben fondata per il cinema di realtà, e sceglie un titolo per il suo documentario che rievoca, come essa stessa dice, una brano musicale di Billy Holiday del 1939, “Strange Fruit”, che denunciava negli Stati Uniti l’indifferenza delle gente nel vedere i corpi di persone di colore impiccate agli alberi e lasciati lì appesi proprio come “Strani Frutti”, La stessa indifferenza di tanti verso gli “Strani Pesci” nel nostro mare.
[di Federico Mels Colloredo]