Si dice spesso, in un apparente paradosso, che solo i generali conoscono realmente il valore e il prezzo della pace. In Italia, tra quelli più autorevoli e senza timori di esporre la propria posizione anche quando in attrito con quelle dominanti vi è di certo Fabio Mini: già capo di Stato Maggiore del Comando NATO per il Sud Europa e alla guida del Comando Interforze delle Operazioni in Ex Jugoslavia. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per una chiacchierata sulla situazione militare del conflitto in Ucraina e, più in generale, su quella che lo stesso generale Mini definisce “guerra per procura” tra Russia e NATO. Una lunga chiacchierata su quanto accade, sui reali obiettivi tattici degli attori in gioco e sugli ipotetici rischi militari (e nucleari) che comporta il conflitto. L’intervista è stata registrata l’8 aprile 2022, un dato da tenere presente considerati i rapidi mutamenti che può subire la situazione in Ucraina.
Generale Mini, a che punto si trova il conflitto in Ucraina dal punto di vista militare? Dall’esterno a molti non è chiaro quale sia la realtà sul campo e quali siano gli obiettivi della Russia
Io credo che i russi non abbiano mai avuto l’intenzione di occupare tutta l’Ucraina. Sono 3 o 4 le linee di penetrazione lungo il confine della Russia con l’Ucraina nelle quali si potevano svolgere operazioni di livello tattico. Si tratta di Mariupol, Odessa e il Donbass, che si trovano a grande distanza tra di loro e quindi possono essere unite nell’ambito strategico, ma separate nella condotta. Queste 3 erano di livello tattico, poi ce n’è una quarta di livello strategico-politico, che è la grande pressione di carattere militare sulla capitale Kiev. Tale linea era determinata dagli eventi che questa pressione poteva scatenare o giustificare. Probabilmente avrebbero voluto impiegare meno tempo, ma la resistenza nelle città è molto diversa da quella in campo aperto: nelle città è più dura, si devono sacrificare molti uomini. Ma se ora la pressione politico-strategica su Kiev viene allentata io non credo si possa ancora parlare di ritirata. È possibile che i carri armati si stiano riposizionando. Se hanno raggiunto l’obiettivo politico-strategico, io ancora mi chiedo quale fosse. Di sicuro non si trattava di ribaltare Zelensky, perché io sono convinto si tratti di un personaggio che può fare molto comodo alla Russia in futuro: è l’unico in Ucraina che abbia lo status e l’immagine di salvatore della patria e ha sempre avuto il consenso dell’Occidente, dando quindi l’idea di essere in grado di costruire qualcosa di solido. È sicuramente quello preferito dai russi, per il futuro, rispetto a tanti altri, se si trova la maniera di scendere a patti. Se i russi ora stanno tornando indietro e si stanno riposizionando o si tratta di un’esigenza di carattere tattico, per spostare le forze e finire la conquista del Donbass, o si vuole alleggerire la tensione su Kiev per favorire dei contatti diplomatici. In questo caso non si tratta di dimostrazione di buona volontà, ma di calcoli fatti a tavolino su probabilità, effetti e costi.
La lettura diffusa secondo la quale le cose militarmente non stiano andando bene per la Russia la convince?
No. Non è nemmeno possibile fare calcoli precisi sui numeri, perché è vero che i russi hanno subito tante perdite, ma non sappiamo quante ne abbiano subite gli ucraini. Putin il 24 febbraio aveva detto che si trattava di operazioni speciali, ma queste erano poi operazioni limitate: non poteva essere altrimenti. Non si mettono 150 mila uomini se l’obiettivo è conquistare un paese grande come l’Ucraina, non serve a nulla. Contate che di questi un quarto sono di combattimento e tre quarti di supporto, considerato che la dottrina militare insegna che bisogna come minimo avere una prevalenza di 3 soldati contro 1 quando si attacca, a tavolino l’esercito russo si trova in una condizione di inferiorità.
Il segretario generale della Nato Stoltenberg ha parlato di una guerra che può durare anni: secondo lei per la Nato questo è un timore o un auspicio?
L’obiettivo della Nato è quello degli USA, ovvero fare fuori la Russia. Non nascondiamoci dietro un dito. La guerra può diventare più lunga per via degli aiuti che la Nato sta dando agli ucraini, perché questa sta diventando una guerra per delega, ovvero: “noi difenderemo l’Ucraina e la Nato fino all’ultimo ucraino”. Lo scopo è avere un’Ucraina completamente schierata e inseribile nella Nato a lungo termine, oppure neutrale ma comunque non demilitarizzata e quindi con presenza di basi Nato sul territorio. La mira centrale, secondo me, è far fuori la Russia come interlocutore di carattere geopolitico internazionale. E colpire la Russia significa prepararsi a colpire la Cina. Questo è il grande gioco.
Ma si può tecnicamente annullare o rendere inoffensiva una potenza nucleare senza rischi enormi per l’umanità? A cosa siamo di fronte?
Questo è il grande salto, che tutti cercano di esorcizzare evitando di parlarne. Se la situazione in Ucraina ora non viene risolta a livello tattico la Russia deve alzare il tiro. La Nato è cento volte più potente della Russia, senza dubbio, ma i russi hanno ancora due armi fondamentali: l’aeronautica strategica e i bombardamenti nucleari. La prima non è ancora intervenuta: fino ad ora abbiamo visto operazioni terrestri condotte da forze terrestri con il supporto di lanciarazzi, qualche missile a lunga gittata e l’aeronautica del close air support, in pratica un’artiglieria che viene dal cielo. Ma l’aeronautica vera, con i velivoli da bombardamento di teatro, non è entrata in azione. I russi hanno ancora non solo armi nucleari e strategiche, ma anche bombe termobariche di grandissime dimensioni, hanno la MOAB, una bomba in grado di fare tanti danni quanti ne fa un ordigno nucleare senza lasciare gli strascichi delle radiazioni. Tutte queste cose non sono ancora state usate.
Il rischio, quindi, è che per raggiungere gli obiettivi tattici minimi che si è data, la Russia debba alzare il livello delle armi utilizzate, potenzialmente arrivando fino a quelle nucleari tattiche. È possibile che questo conflitto possa avviare un’escalation?
Non si può escludere. Per 50 anni è stata alimentata la favola che nessuna delle due potenze volesse impiegare per prima un ordigno nucleare, ma la dottrina del no first use era una barzelletta che si è retta in piedi solo perché nessuna delle due parti vi credeva veramente. L’equilibrio si è avuto non perché entrambe le potenze sapevano che non l’avrebbero usata, ma per la ragione opposta: entrambe sapevano che in certe condizioni l’avrebbero usata per prime. Io oggi mi preoccupo non perché qualcuno minaccia l’uso delle bombe tattiche o nucleari, ma perché qualcuno lo nega.
Cioè si sottovaluta il pericolo?
È un meccanismo perverso: non è che si sottovaluta il pericolo, si gioca al ribasso su quel pericolo per giustificarne l’incremento convenzionale. Perché tanto “la guerra nucleare non succederà”. Un sacco di gente dice di poterlo escludere, da Putin a Stoltenberg a Biden. Ma bisogna andare a vedere i piani della Nato e il concetto strategico secondo il quale la deterrenza nucleare e gli accordi dell’antinucleare possono essere bypassati o comunque superati dagli eventi. Basta quindi che ci sia una qualche azione che venga percepita come danno o minaccia all’integrità o alla propria sopravvivenza che viene giustificato il primo uso. Questo lo dicono sia gli americani che gli europei che hanno le bombe atomiche, come la Francia, sia i russi.
Sperando che vi sia la consapevolezza che sarebbe un punto di non ritorno a livello umano…
Noi con la storia delle armi nucleari tattiche abbiamo abbassato la soglia dell’impiego. Prima la soglia era molto alta perché le armi nucleari erano solo strategiche. Avevamo le armi tattiche, come le mine da demolizione o qualche missile terra-terra, ma erano poche cose. Il vero danno nucleare era a livello strategico ed era quello l’unico livello alto. Con l’invenzione delle armi nucleari tattiche, che vanno da 0.3 chilotoni a 50 chilotoni, si è abbassata la soglia dell’impiego. Il nucleare non è più un tabù ma un’arma come un’altra. Si consideri poi il fatto che il lancio di ordigni nucleari strategici è sempre soggetto al passaggio di più livelli, con tre o quattro persone che hanno accesso ai codici, e che arriva fino al massimo livello politico: negli USA per lanciare una bomba deve arrivare il Presidente. Per le armi nucleari tattiche non è necessaria questa trafila, ormai sono inquadrate come una sorta di arma convenzionale.
Secondo lei è corretto identificare la Nato ancora come un’alleanza difensiva? O da parte russa ci sono delle ragioni nel considerarla una minaccia?
Il ruolo difensivo della Nato è un ricordo del passato. A partire dal ’99 si è entrati in una fase in cui le missioni fuori dall’area Nato sono diventate quasi una routine. Il fatto che sia un’alleanza difensiva significa che è tenuta a difendere non solo il territorio, ma anche gli interessi dei Paesi membri: in Afghanistan c’era solo un alleato Nato che aveva interessi, e ci siamo andati per quello. La Nato non è ormai più un’alleanza difensiva: è un’organizzazione regionale di livello globale che può essere delegata a fare ogni tipo di operazione.
Quindi è normale che dal punto di vista strategico un Paese come la Russia viva come una minaccia il fatto che la Nato si installi nei Paesi confinanti?
Assolutamente. Questo lo sapevamo anche noi ed è chiaro fin dal 1997, quando iniziò l’allargamento della NATO verso l’est Europa. L’Ucraina ha scoperchiato il vaso di Pandora.
In questi giorni si stanno moltiplicando le accuse di crimini di guerra contro la Russia, da militare crede che effettivamente le operazioni militari russe in Ucraina si stiano distinguendo per brutalità rispetto alle guerre che anche Nato e USA hanno effettuato negli ultimi anni o si tratta di retorica politica?
Entrambe le cose. Sicuramente è un’affermazione che fa gioco politico. Tutti parlano ancora prima di aver fatto accertamenti e vogliono i risultati di ciò che ancora non è stato verificato. Ma non si può fare ora un processo di Norimberga, mentre ancora non sappiamo chi sia stato, né possiamo pensare che sia il vincitore finale a stabilire quale sia la giustizia. Io non metto in dubbio che a Bucha ci siano morti e che siano stati ammazzati dai russi, ma è necessario accertare le cause e le circostanze. Se si tratta della vendetta finale di chi si sta ritirando, l’accertamento e la punizione devono essere immediate. Bisogna portare i cadaveri dai patologi forensi affinché stabiliscano le cause della morte. Ma nella guerra dell’informazione il trucco è sfruttare subito gli elementi che possono essere di aiuto, qualsiasi cosa succeda, anche se non se ne sa niente. La verità non si sa mai del tutto, ma nel frattempo tu devi ottenere il massimo risultato possibile. Per quanto si sa ora siamo certamente nell’ambito della retorica di guerra. Io ho avuto degli allievi americani che ridevano nel mostrarmi le immagini dei bombardamenti che avevano condotto in Iraq. Pensiamo a quanto accaduto ad Abu Ghraib, dove gli abusi erano stati denunciati dagli stessi americani, che non ne potevano più di vedere certe cose. Eppure di fonte a questi casi non si è invocata nessuna Norimberga.
Come può finire questa guerra?
Si potrebbe ipotizzare uno scenario nel quale tutti possano rimanere nel posto in cui si trovano e venga fatta una striscia di sicurezza intorno a una determinata zona, lasciando poi nel limbo la questione del Donbass. Tolto quello non c’è molto. Ma io non credo che né la Russia né l’Ucraina siano disposte a cedere, né vedo da parte degli USA, della UE o della Nato l’intenzione di facilitare una soluzione diplomatica. Ora dalle cancellerie occidentali stanno convincendo Zelensky che può addirittura vincere e questo non aiuta, perché convince gli ucraini che non dovranno concedere nulla, nemmeno la futura neutralità. E poi cosa significherebbe vincere? Fare ritirare i russi dal Donbass prendendo il controllo di una zona a maggioranza russofona sostanzialmente impossibile da controllare per Kiev? Non sarebbe una soluzione.
Se siamo di fronte a una guerra per procura che in realtà oppone la Russia alla Nato piuttosto che all’Ucraina, non crede che una vera pace potrebbe arrivare solo da un tavolo strategico che coinvolga Russia, Europa e USA?
Si, ma è una cosa che non vuole fare nessuno. Occorrerebbe ridisegnare la mappa europea o mondiale in relazione a molteplici poli, ma gli americani in primis non lo vogliono. Questa è la base delle tensioni globali che viviamo: la Russia e la Cina chiedono un nuovo ordine multipolare, gli USA invece vogliono conservare l’ordine unipolare, dove l’unico polo che conta sono loro. L’Europa secondo me non ha nessun interesse ma va appresso a quello statunitense. Questa è la realtà delle cose a livello strategico, per questo ogni soluzione di pace che si occupi solo dell’Ucraina non sarà altro che una toppa.
[di Andrea Legni]
Analisi molto chiara…in un talk-show, per dire queste cose lo avrebbero interrotto almeno trenta volte o più…piuttosto suggerirei una nuova intervista al generale a fine mese o inizio Maggio
Mi sembra di vedere due fratellini che
litigano per il possesso di un giocattolo, con i genitori e parenti presenti , deficienti , che
non fanno nulla.
Il rinascimento degli ultimi 77 anni
( anche se con molti difetti ) è finito, ricomincia il DECADENTISMO.
I più giovani potranno raccontarlo.
ottimo e chiarificatore, onesto e senza pregiudizi
Mini è un militare competente e onesto — peccato che l’Italia sia un paese prono alla sudditanza americana.
Ragionamento sensato, ma stando così le cose, la guerra durerà ancora anni se non si arriverà effettivamente all’uso del nucleare dove alla fine non ci saranno vincitori
Analisi profonda e sensata, ma soprattutto “onesta”.
Complimenti e grazie.
Interessante ed esplicativo.
analisi lucida senza fronzoli, tantomeno incline all’una o all’altra parte degli interessi. Il finale è un “titolo” per molti.