Ci eravamo svegliati all’alba, convinti di non trovare nessuno, oltre quel van di olandesi che erano come noi sprofondati nella nebbia serale di Cabo Espichel, Portogallo, all’estremità della penisola di Setubal.
Invece, nel deserto della zona davanti al mare, accanto al faro, alla chiesa e agli altri edifici abbandonati, si erano sistemati, il mattino, dei banchi del mercato e di street food, veramente coraggiosi, visto che le prime case erano a trenta chilometri di distanza.
Quindi sono sceso a fare quattro parole, gettando lo sguardo, interrotto dai tendoni, laggiù sul precipizio dell’Oceano.
Miguel era un vecchio contadino, un personaggio dell’Alentejo di José Saramago, erede di lotte ancestrali. Vendeva i suoi semplici prodotti, e soprattutto piccoli grappoli d’uva. Abbiamo subito parlato, anche di politica, di giustizia e della difficoltà a vendere al minuto, laggiù lontano da tutti.
«Vede, io ho commesso una grave colpa nella vita!»
Io immaginavo già storie di qualche delitto, chissà, di odii di famiglia. No, niente di tutto questo.
Miguel diceva di non perdonarsi una mancanza. Quella di non aver studiato, di essere andato a scuola troppo poco.
Ogni tanto, sono passati molti anni, penso a Miguel, alla sua coscienza sociale, al suo gilet multicolore che lo faceva sembrare un artista, un uomo dalle idee chiare ma dalla scarsa fortuna.
Era estate, la stagione della utopia, il faro lanciava segnali intermittenti. Un mulino sovrastava, inutilizzato, la spianata. Un’ora dopo ci saremmo tutti fermati a mangiare qualcosa, nel fremito di una frittura, la gioia di una amicizia on the road.
La vraie liberté c’est le vagabondage: questa è una semplice verità per noi camperisti.
[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]
Era estate, la stagione dell’utopia…
Poesia! Grazie!
John Dewey scriveva proprio che il ricordo è come un artista, come un poeta perché è capace di scegliere ma anche di inventare