Esattamente 26 anni fa, il 10 Maggio 1996, un uomo veniva ucciso a colpi di pistola a Catania. Quell’uomo, un ex mafioso che alcuni anni prima aveva deciso di rimediare al suo passato criminale giurando fedeltà allo Stato italiano, inizialmente come informatore e poi come collaboratore di giustizia (lo sarebbe diventato dopo una manciata di giorni, ma i proiettili glielo impedirono) si chiamava Luigi Ilardo. L’esame della sua vicenda, che rappresenta un vero e proprio unicum nella storia di Cosa Nostra e della lotta alla criminalità organizzata, è imprescindibile per addentrarsi nelle ombre dello Stato-mafia e della “zona grigia” e cercare di capirne qualcosa in più.
La storia criminale di Luigi Ilardo iniziò ufficialmente nel 1978, quando venne “battezzato” in Cosa Nostra dopo la morte di suo zio Francesco Madonia, importante boss di Caltanissetta; subì una battuta d’arresto nel 1983, quando fu condannato a 10 anni e finì in galera; terminò ufficialmente nel 1993, nel momento in cui decise di cambiare vita per sé e la sua famiglia, mettendosi a disposizione dello Stato agendo come infiltrato all’interno della sua ex organizzazione di appartenenza, all’insaputa degli altri uomini d’onore che continuavano a trattarlo come uno di loro. Dopo avere offerto un contributo determinante ai fini della cattura di numerosi latitanti mafiosi grazie alla sua collaborazione con il colonnello Michele Riccio (prima applicato alla Dia, poi al Reparto Operativo Speciale dei Carabinieri) sotto il nome di “fonte Oriente”, nel 1995 Ilardo riuscì addirittura a condurre i Carabinieri del Ros nei pressi del covo dell’allora capo di Cosa Nostra Bernardo Provenzano, il quale, però non venne catturato dalle forze dell’ordine. Pochi giorni prima di entrare ufficialmente nel programma di protezione per i collaboratori di giustizia, Ilardo fu ucciso a Catania dalla mafia a seguito di una “soffiata istituzionale”, come sancito dalla sentenza in cui sono stati condannati i mandanti e gli esecutori mafiosi del suo omicidio (Giuseppe Madonia, Vincenzo Santapaola, Maurizio Zuccaro e Orazio Benedetto Cocimano). Prima di morire, Ilardo aveva anticipato al colonnello Riccio che avrebbe fornito all’autorità giudiziaria scottanti rivelazioni sui mandanti occulti delle bombe del biennio stragista 1992-1993, collegati, a suo dire, agli ambienti della destra eversiva e dei servizi deviati che negli anni ’70 avevano posto in essere la “strategia della tensione”, e sulle scelte politiche della mafia palermitana, che nel 1994 aveva trovato in Forza Italia il progetto politico su cui puntare dopo l’esplosione di Tangentopoli e il sostanziale “azzeramento” dei suoi ex referenti politici.
Ne parliamo con Luana Ilardo, figlia di Luigi. Colei che, 26 anni fa, ne raccolse il cadavere in via Quintino Sella a Catania, e che da allora lotta per trovare verità e giustizia sull’omicidio di suo padre e sugli innumerevoli eventi ad esso “collaterali”, che segnarono nel sangue il passaggio dalla prima alla seconda repubblica.
Signora Ilardo, cosa ricorda di quel tragico 10 Maggio 1996?
Che dire, lo ricordo come il giorno più doloroso della mia vita. In quel momento, percepii la fine della mia stessa esistenza. Ricordo il sangue di mio padre, che ha macchiato i miei vestiti e quelli di mia sorella, insieme alle nostre anime. Per sempre.
Quali furono i meriti di suo padre nella cornice del suo percorso di collaborazione con lo Stato italiano, in cui svolse il delicato ruolo di infiltrato?
Una chiave importante per comprendere la storia di mio padre è costituita dalla sua scelta di collaborare per quasi due anni come fonte “Oriente” a braccetto con un bravissimo colonnello di nome Michele Riccio. Grazie al lavoro svolto da mio padre sotto la sua “ala”, lo Stato ha potuto arrestare una cinquantina di mafiosi, tra cui una serie di grossi capi. Questo voglio sempre ricordarlo.
Un percorso virtuoso che, però, subì una serie di intoppi…
Mentre mio padre stava collaborando con Riccio, quest’ultimo lasciò la Dia e si pose alle dipendenze del Ros dei Carabinieri. Fin da subito i rapporti tra Riccio e il Ros si rivelarono complicati. Riccio constatò subito che l’approccio dei suoi diretti superiori rispetto alle attività di mio padre e all’entità esplosiva delle informazioni che avrebbe potuto rivelare alle autorità fu molto poco collaborativo, direi di palese disinteresse. Queste difficoltà continuarono fino all’incredibile episodio del mancato arresto di Provenzano.
Ci ricorda che cosa avvenne?
Mio padre indicò agli inquirenti il luogo in cui, il 31 ottobre 1995, si sarebbe tenuto un summit di mafia in cui avrebbe incontrato il capo di Cosa Nostra Provenzano, allora latitante, ovvero una masseria di Mezzojuso. Nonostante tutto, però, i carabinieri del Ros, guidati da Mario Mori e da Mauro Obinu, non effettuarono il blitz (ricordiamo che, per il mancato arresto di Provenzano, i Ros Mario Mori e Mauro Obinu sono stati assolti “perché il fatto non costituisce reato”, ndr).
Quando e perché, a suo parere, la situazione precipitò?
Ritengo che il momento di svolta si ebbe quando trapelò la notizia della sua vera identità, che venne di fatto ufficializzata il 2 maggio del 1996. In tale data, mio padre si incontrò con i Procuratori di Palermo e Caltanissetta alla serie del Ros di Roma, intercettando anche lo stesso generale del Ros Mario Mori. A distanza di soli otto giorni da quell’appuntamento, mio padre viene ucciso sotto casa nostra. Il processo evidenzierà che questo omicidio subì un’accelerazione e diversi collaboratori di giustizia hanno sostenuto nel tempo che, nonostante fosse stata chiesta una sorta di “autorizzazione” all’allora capo di Cosa Nostra Provenzano, questi non diede mai un assenso formale per la sua esecuzione.
Il celebre pm antimafia Nino Di Matteo ha sostenuto pubblicamente che Luigi Ilardo si sarebbe rivelato “il più importante pentito dopo Tommaso Buscetta”. Perché ancora così in pochi conoscono il caso Ilardo?
Perché la storia di Luigi Ilardo è una storia scomoda, una storia che è opportuno continuare a insabbiare cosicché se ne perda la memoria. Mio padre, con le sue rivelazioni, avrebbe infatti toccato il tema delle responsabilità istituzionali dietro ai delitti di mafia e la contiguità tra pezzi della politica e dei servizi e Cosa Nostra. Non si sarebbe fermato alla mafia militare.
Cosa pensa delle condotte dei protagonisti della “Trattativa Stato-mafia” e delle assoluzioni intervenute in Appello per gli uomini dello Stato?
Molto semplicemente, penso che siamo in Italia. E che in questo Paese, ciclicamente, la storia non fa che ripetersi. A prescindere dalle sentenze, ritengo che, nel contesto della “Trattativa”, la parte “buona”, quindi lo Stato, non si sia affatto comportata bene. I mafiosi, la parte “cattiva”, hanno seguito il loro rigoroso protocollo, squallido e illegale, in maniera puntigliosa, mentre lo Stato non ha tenuto fede al suo, di protocollo. Lo Stato non ha fatto lo Stato.
Che idea si è fatta sulle mosse dell’attuale Governo in tema di lotta alla mafia?
L’impressione è che anche questo Governo sia disallineato da quello che è lo spirito dell’impianto legislativo partorito da Giovanni Falcone e che il tema della lotta alla mafia non sia tra le sue priorità. Il solito deludente “garantismo” all’italiana si dimentica, come sempre, del dolore inflitto ai parenti delle vittime di mafia, che nei fatti rimangono le uniche condannate al “fine pena mai”.
Ritiene che il quadro che a livello legislativo va delineandosi (pensiamo, in particolare, al tema dell’ergastolo ostativo) possa costituire un ostacolo anche alla ricerca della verità sull’omicidio di suo padre?
Assolutamente sì, dal momento che molti mafiosi attualmente ristretti al 41-bis conoscono la verità sulla morte di mio padre e sulla trattativa Stato-mafia, che ne è il retroterra. Essi non avranno nemmeno la necessità di affrontare un percorso di collaborazione e redenzione per ottenere la libertà. Si sottovaluta inoltre il rischio di successive ritorsioni nei confronti di persone seriamente impegnate sul fronte antimafia, tra cui la sottoscritta.
Pochi giorni fa la Commissione antimafia è giunta in “spedizione” a Catania per ricordare la figura di suo padre sul luogo in cui venne ucciso. Almeno su quel fronte, qualcosa si sta muovendo?
Non so cosa accadrà, ma ho apprezzato tantissimo il gesto compiuto dalla Commissione parlamentare antimafia. Al di là dei risvolti giudiziari di questa vicenda, rispetto ai quali non smetterò mai di sperare in un esito positivo, è stato un atto di vicinanza umana davvero molto importante, che nessuno mai aveva avuto l’accortezza di compiere nei confronti di mio padre, del contributo che ha fornito allo Stato e nei confronti di noi familiari.
Qual è l’appello che lancia al nostro Governo?
Chiedo a questo Governo di inserire tra i primi punti della sua agenda la lotta alla mafia, di dare una concreta speranza a tutti coloro che, come me, hanno visto la propria vita distrutta dalla violenza mafiosa e che, da oltre trent’anni, cercano verità e giustizia affidandosi alle istituzioni italiane. Verità e giustizia che continuano ad esserci negate anche oggi. Credo sia un diritto imprescindibile al fine di ottenere quella pace e serenità che meritiamo.
[Stefano Baudino]