Questa sera si svolgerà il confronto finale tra la Commissione, il Parlamento e il Consiglio europei, che potrebbero entro domani 7 giugno giungere a un accordo sulla proposta di istituire un quadro normativo europeo sul salario minimo. La presidenza francese del Consiglio europeo intenderebbe approvare formalmente il provvedimento già il 16 giugno. La proposta non prevede l’introduzione di una cifra minima comune a livello comunitario, ma di un quadro normativo che tenga conto dei differenti modelli del mercato del lavoro degli Stati membri al fine di istituire salari minimi adeguati ed equi. Tuttavia, mentre l’Europa si muove verso la definizione di una politica unitaria in materia, in Italia la questione dell’introduzione del salario minimo divide ancora profondamente politica e sindacati.
La proposta di un quadro normativo per l’introduzione del salario minimo europeo è stata avanzata dalla Commissione europea nell’ottobre del 2020. Dopo il via libera da parte del Parlamento europeo giunto nel novembre 2021, cui è seguito quello del Consiglio europeo dopo l’ok della riunione dei ministri per il Lavoro e le Politiche Sociali europee, il 13 gennaio ha potuto prendere il via il confronto tra i tre organismi europei. L’esito dovrebbe giungere entro domani. Secondo i dati Eurostat al 1° gennaio 2022 sono sei gli Stati membri che dispongono di un salario minimo superiore ai 1500 euro al mese (Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Irlanda e Lussemburgo), mentre Slovenia e Spagna superano di poco i 1000. In altri 13 Stati, il salario minimo mensile è di molto inferiore ai 1000 euro. A non disporre di una normativa al riguardo sono 6 Paesi: Danimarca, Italia, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia.
In Italia, la proposta nazionale sul salario minimo è ferma in Senato dal 2018: i lavori sono ripresi il 10 maggio scorso, dopo che Conte ha accusato il Pd della situazione di stallo. Tuttavia anche tra coloro che sono favorevoli alla misura all’interno della maggioranza (ovvero 5 Stelle, Pd, LeU e Italia Viva) non si riesce a trovare un accordo su di una proposta che soddisfi tutte le parti. Secondo il ministro del Lavoro Orlando, l’introduzione di un salario minimo fornirebbe una “risposta forte a due fenomeni che caratterizzano il mercato del lavoro: il dumping salariale e la presenza di molti lavoratori poveri”, che contraddistinguono il mercato del lavoro italiano.
La spaccatura sulla questione riguarda tanto la politica quanto i sindacati. Una ferma opposizione viene da Forza Italia: secondo il ministro della Pubblica Amministrazione Brunetta adottando un salario minimo “si rischierebbe di spiazzare le relazioni industriali e di produrre effetti negativi a catena sul mercato del lavoro”. Di posizioni più incerte la Lega: “Bisogna vedere come si fa” ha commentato al proposito Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico.
Mentre Landini (Cgil) sostiene la necessità di agire sui contratti, sul fisco e su una legge di rappresentanza che introduca anche in Italia il salario minimo e Bombardieri (Uil) richiama la necessità di un salario minimo che coincida con i minimi contrattuali, su tutt’altra linea si colloca la Cisl. “Non è con la legge sul salario e sull’orario che noi sconfiggiamo il dumping contrattuale” ha dichiarato il segretario Luigi Sbarra, convinto che l’introduzione della misura potrebbe spingere “tantissime aziende a uscire dai contratti e peggiorerebbe la vita di milioni di lavoratori”. Su posizioni simili si colloca Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, che afferma che “da noi i minimi salariali sono già all’interno dei contratti collettivi e non nascondiamo che ci sono alcuni settori dove le paghe sono molto basse” nei quali “è giusto intervenire”, mentre ciò che è necessario è “andare a colpire i contratti pirata, che vengono fatti da chi non ha rappresentanza e fa dumping salariale”.
Secondo una ricerca del Centro studi FederTerziario, se il salario minimo fosse portato a 9 euro lordi l’ora l’innalzamento di retribuzione interesserebbe il 21% dei lavoratori, ovvero 2,9 milioni di persone, in particolar modo apprendisti e operai. L’incremento complessivo del monte salari sarebbe stimato intorno ai 3,2 miliardi di euro che andrebbero a gravare sulle imprese, le quali per questo dovrebbero essere sostenute da “sistemi di decontribuzione e detassazione”. Allo stesso tempo andrebbero potenziati gli organi ispettivi e rafforzate le garanzie di rispetto delle norme in materia di lavoro, dichiara FederTerziario, per contrastare il probabile aumento dei contratti in nero.
[di Valeria Casolaro]
…e che problemi ci sono? L’Italia disattenderà le rischeste dell’UE e prenderà qualche procedura d’infrazione con relativa sanzione economica che ” i migliori” scaricheranno sulle spalle dei contribuenti, niente di più semplice!