Le amministrazioni locali di alcune grandi città italiane, tra cui Roma, Napoli, Bari, Milano e Torino, hanno dato vita alla “Rete delle città italiane per una politica innovativa sulle droghe”, che già si è dotata di un proprio manifesto che chiede di cambiare l’approccio adottato nei confronti delle sostanze e dei cittadini che le consumano, abbandonando il proibizionismo e un atteggiamento politico che continua a vedere nell’uso di droghe in problema di ordine pubblico piuttosto che una questione sociale.
Quello della dipendenza, secondo la Rete antiproibizionista, è un fenomeno “ampio, diffuso, complesso e radicato”, che più che represso va regolamentato e affrontato rimettendo al centro le persone e le loro fragilità, tornando ad investire nelle pratiche di riduzione del danno.
Il “manifesto”, siglato al momento dalla Consigliera della Città metropolitana di Roma, Tiziana Biolghini, e dagli assessori Lamberto Bertolé (Milano), Francesca Bottalico (Bari), Luca Rizzo Nervo (Bologna), Jacopo Rosatelli (Torino), Luca Trapanese (Napoli), si pone l’obiettivo di “sperimentare modelli di regolazione sociale dei fenomeni del consumo, di mediazione sociale per garantire accessibilità e vivibilità dello spazio urbano per tutti, di politiche centrate sulla promozione della salute e sui diritti”.
Di fatto il senso profondo è, oltre a quello che abbiamo già detto, trattare in modo diverso chi assume le sostanze e differenziare tra loro le diverse sostanze (evitando di accomunare, per esempio, la cannabis agli oppioidi): questo aiuterebbe a trovare una risposta efficace per ogni singolo caso, senza generalizzare o creare stigmi. “La doppia lettura del consumo di droghe, fino ad oggi prevalente, in termini di devianza e patologia si è rivelata del tutto inadeguata a nuova una lettura del fenomeno, che non consente né di comprendere né di gestire”.
Gli amministratori pubblici firmatari sottolineano che non mettono in discussione “il contrasto allo spaccio e alla criminalità, che competono alle forze di polizia” ma chiedono che all’approccio poliziesco si aggiungano “interventi integrati per evitare che chi consuma sostanze entri in un cono d’ombra dove le alternative sono solo o il carcere o l’emarginazione estrema”.
Le “tattiche” utilizzare fino ad ora, infatti, e che spesso hanno previsto una risposta penale e repressiva nei confronti degli utilizzatori di sostanze, non sembrano aver funzionato (anzi, in molti casi ha dato risultati contrari). L’errore è cercare di trattare un fenomeno complesso con una giurisdizione “semplice” e univoca. E in questo le città anti-proibizioniste puntano invece fare da apripista, perché sono loro a dover gestire, prima di tutti, situazioni come “la movida serale e i rave”. Le comunità si evolvono, e con esse l’utilizzo di sostanze. Negli ultimi anni, ad esempio, da una parte si sono moltiplicate sul mercato le sostanze psicoattive, usate tra diverse fasce di cittadini, sin dalla giovane età. Dall’altra, “si è complicata la realtà, e i rischi connessi, delle persone socialmente emarginate che consumano droghe, la cui condizione è segnata dai processi di impoverimento che investono le nostre città”.
[di Gloria Ferrari]
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